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TESTO Commento su Matteo 11,20-24

Missionari della Via   Missionari della Via - Veritas in Caritate

Lunedì della XV settimana del Tempo Ordinario (Anno II) (15/07/2024)

Vangelo: Mt 11,20-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

La divisione che porta Gesù è quella che separa il bene dal male o che divide per un bene maggiore. Il mondo è stato creato con dentro una lotta! Sappiamo tutti che nella vita il bene viene ostacolato, c'è sempre un conflitto in corso. Spesso gli uomini sono i fautori di questi conflitti, infatti ogni persona che accoglie il male e lo propaga crea divisioni. Ma allora come possiamo essere persone di pace? Prima di tutto abbiamo bisogno di sapere che dobbiamo separaci quando riceviamo abusi, quando il male prende il sopravvento, quando l'altro si fa fautore di una volontà di supremazia sulla nostra libertà, oppure quando le nostre diversità ci portano semplicemente a operare in luoghi diversi. Questo, infatti, non è fare guerra, ma semplicemente separarsi! Le guerre, invece, nascono quando non siamo capaci di dividerci gli spazi, quando l'altro nella sua diversità non può avere uno spazio. Quando nelle nostre parrocchie, nelle nostre famiglie, nelle nostre Diocesi, c'è diversità, vuol dire che c'è la presenza di Dio. Essa, infatti, distingue per unire e separa per allontanarci dal male. C'è una separazione, una distinzione che aiuta a far crescere, per maturare nella mia libertà. Separami dalla mia famiglia non significa fare guerra, ma significa crescere, creare una diversità bella che mi unisce alle mie radici in una maniera unica. Altre volte invece la divisione è dovuto al fatto che l'altro perpetua del male contro di me. In ogni caso c'è un conflitto che porta ad una maturità! I conflitti in sé non sono cose negative, richiamano alle diversità, la guerra invece è sempre negativa, è un conflitto che si incancrenisce, che appiattisce tutti in un'unica versione dell'essere nel mondo. Gesù chiede una radicalità nell'amore che per forza di cose crea conflitto, il male non vuole l'amore. Chi accoglie il bene, chi nutre l'amore, chi lo disseta anche con un solo bicchiere d'acqua è un fautore del regno di Dio, uno destinato a ricevere la ricompensa di Dio, il suo amore immenso, ma sarà colui anche che troverà delle difficoltà. Non dobbiamo perciò avere paura dei conflitti, di qualsiasi genere essi siano ci chiamano a un discernimento e alla pace. Dobbiamo avere paura di non accogliere l'amore, di far guerra all'amore per manie di potere e egoismo che coltiviamo. Dio chiede tutto, è vero, ma dando a Lui tutto, si riceve cento volte tanto: le relazioni, seppure nella separazione e nella diversità si rafforzano, diventano belle, fruttuose, libere. Dalla spada che Dio sfodera e che divide il bene dal male, o separa il bene da un bene maggiore per moltiplicarlo, nasce solo pace, mai la guerra.

«Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev'essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell'unità profonda della realtà. Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l'orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l'unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). In questo modo, si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 226-228).


Il santo del giorno: San Bonaventura da Bagnoregio

Fu incaricato di scrivere la prima biografia ufficiale del Poverello di Assisi, che tanto influenzò il mondo cristiano e il pensiero filosofico di Bonaventura.

Nel 1263, dopo tre anni di alacre lavoro, Bonaventura presentò al capitolo generale di Pisa la Legenda Maior. Immediatamente l'opera fu approvata e anzi imposta come la sola biografia ufficiale di san Francesco. Da qualche anno a quella parte, infatti, due interpretazioni del carisma di Francesco dividevano i frati. Si cercava di far evolvere l'ordine interessandosi alle attività intellettuali e pastorali, ma per alcuni la povertà estrema era il solo modo per seguire correttamente l'esempio del fondatore. Mantenere l'unità di 25mila frati richiedeva molta fermezza e diplomazia.

Difendere gli ordini mendicanti era per lui missione tanto prioritaria che rifiutò l'episcopato di York, in Gran Bretagna, offertogli da papa Clemente IV. Alla morte di quest'ultimo, nel 1271, partecipò al conclave di Viterbo, e grazie ai suoi consigli fu eletto Gregorio X. Oltre a redigere opere spirituali, Bonaventura non trascurò gli impegni quotidiani. Si racconta che quando papa Gregorio X lo nominò cardinale vescovo di Albano, nel 1273, i legati pontifici lo trovarono in cucina a lavare i piatti. Per ordine del Papa, preparò il secondo concilio di Lione, del quale tuttavia non vide il compimento. Bonaventura si spense infatti nel bel mezzo del concilio, il 15 luglio 1274. Fu canonizzato nel 1482 da papa Sisto IV e nominato dottore della Chiesa da Sisto V nel 1587. Ha lasciato dietro di sé preziose opere spirituali che permettono di conseguire la pienezza della vita inte riore (Aliénor Goudet, traduzione di Giovanni Marcotullio).

 

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