TESTO Commento su Matteo 19,27-29
Missionari della Via Missionari della Via - Veritas in Caritate
S. Benedetto abate, patrono d'Europa (11/07/2024)
Vangelo: Mt 19,27-29

27Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». 28E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».
Gesù sorprende i generosi apostoli che hanno lasciato tutto per seguirlo, con delle parole concretissime. Pietro parla di ricompensa, un guadagno da ottenere e Gesù risponde in modo chiaro e umanissimo, dice quale sarà la ricompensa. Gesù elenca e conosce bene ciò che gli apostoli hanno lasciato, la priorità che hanno dato a Gesù rispetto a tutte le cose e le relazioni che avevano. Non hanno abbandonato o disprezzato le persone e le cose che avevano, ma semplicemente hanno capito che quelle cose non erano la fonte della loro felicità e tanto meno un possesso da custodire. Con coraggio hanno lasciato e Gesù ha promesso loro, e a tutti coloro che lo seguono anche oggi, nelle diverse vocazioni, cento volte tanto. Gesù è proprio così, riceve il poco per dare molto di più! Per tutti noi vivere in funzione di relazioni e cose significa non sbocciare, non ricevere il cento volte tanto, anche solo in maturità di vita e possibilità di apertura delle relazioni in senso non possessivo ma espansivo. Si impara con Gesù a riconoscere negli altri tante madri, fratelli e sorelle, ad estendere la vita, a non conservarla attraverso legami e possessi esclusivi. Come può una famiglia aprirsi all'adozione se pensa che ha solo quello che possiede o che esce dalla propria carne? Si perde il cento volte tanto! Ancor di più, visto che si tratta nel Vangelo di un lasciare molto concreto: come può un giovane consacrarsi se poi deve lasciare la casa frutto di sacrificio proprio o di generazioni passate, deve lasciare un lavoro sicuro, deve staccarsi da fratelli e sorelle tanto amati e magari bisognosi, dalla mamma che sarà sola e sconsolata e dal papà deluso nelle sue aspettative? Come farà? Semplice, prima troverà delle scuse consolatorie (finire la laurea, aspettare che tutti siano felici e d'accordo con lui e lo accompagnino via di casa a compiere la sua missione con festanti acclamazioni), e poi finirà per non decidersi, non crescere mai e in più perderà il cento volte tanto che Dio gli aveva promesso! Che guadagni che facciamo a non scegliere il Signore!
«Considerare la vita come vocazione favorisce la libertà interiore, stimolando nel soggetto la voglia di futuro, insieme con il rifiuto d'una concezione dell'esistenza passiva, noiosa e banale. La vita assume così il valore di "dono ricevuto, che tende per natura sua a divenire bene donato» (Doc. Nuove vocazioni per una nuova Europa, 1998, 16, b).
«Padre santo, fonte perenne dell'esistenza e dell'amore,
che nell'uomo vivente mostri lo splendore della tua gloria,
e metti nel suo cuore il seme della tua chiamata,
fa' che nessuno, per nostra negligenza,
ignori questo dono o lo perda,
ma tutti, con piena generosità,
possano camminare verso la realizzazione del tuo Amore»
(san Giovanni Paolo II)