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TESTO Commento su Matteo 10,1-7

Missionari della Via   Missionari della Via - Veritas in Caritate

Mercoledì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno II) (10/07/2024)

Vangelo: Mt 10,1-7 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

I discepoli vengono chiamati a seguire Gesù e inizialmente cominciano la predicazione da casa loro, dalle pecore perdute della casa d'Israele. Gesù avrebbe potuto chiamare dei dotti, come fu Paolo, per predicare con sapienza agli ebrei e convincerli; in fondo i compaesani illustri dei nostri discepoli erano sacerdoti, gente che aveva confidenza con le cose di Dio, uomini illustri e dotti, che attraverso discorsi di sapienza potevano essere convinti della bontà del messaggio di Gesù. Invece no, Dio chiama dei pescatori non particolarmente brillanti, li conosce uno ad uno, e li manda ai perduti della casa di Israele. Dio, infatti, non ci sceglie perché siamo buoni, bravi, funzionali, ma Egli scommette prima di tutto sulle nostre fragilità. Perché? Non solo manifesta così la sua grandezza, ma anche la nostra grandezza. Noi, infatti, non siamo le nostre fragilità, tanto meno i nostri peccati, noi attraverso ciò che ci limita scopriamo noi stessi e accettiamo che una delle caratteristiche del vivere risiede nella fragilità. Siamo un bene sempre possibile! Perciò, con le nostre fragilità Dio ci chiama ad andare incontro ai fragili, gli altri che come noi hanno bisogno di quel regno dei cieli, regno di pace, presenza di Gesù, che riempie il mondo.

«Vorrei una Chiesa che osa mostrare la sua fragilità. A volte la Chiesa dà l'impressione di non aver bisogno di nulla e che gli uomini non abbiano nulla da darle. Desidererei una Chiesa che si metta al livello dell'uomo senza nascondere che è fragile, che non sa tutto e che anch'essa si pone degli interrogativi» (Albert Rouet, vescovo).

Le sante Rufina e Seconda

Le Sante Rufina e Seconda sono due martiri nate a Roma, ricordate in numerosi e sicuri documenti, come il ‘Martirologio Geronimiano', i vari ‘Itinerari' romani, la ‘Notitia Ecclesiarum' di Guglielmo di Malmesbury, e soprattutto il ‘Martirologio Romano' il 10 luglio. Esse subirono il martirio fuori Roma, nella “sylva nigra”, verso il 260.

Il racconto delle loro sofferenze e morte (‘passio') risale alla seconda metà del V secolo; esso colloca il martirio ai tempi di Valeriano e Gallieno, nel 260 ca. Il racconto, assai vivace, è di sorprendente attualità perché descrive bene la situazione di due giovani credenti nei confronti dei rispettivi fidanzati non credenti, in un periodo di persecuzione. Lasciati Armentario e Verino, Rufina e Seconda fecero voto di verginità. Non condividendo la loro scelta, i due giovani tentarono di indurle ad apostatare dalla fede per poterle sposare. Ottenuto solo un fermo rifiuto, tramutarono il loro amore in folle odio e denunciarono le fidanzate al conte Archesilao, il quale si mise sulle loro tracce e le raggiunse al XIV miglio della via Flaminia, mentre lasciavano la Città nel tentativo di sfuggire alla morte. Così Rufina e Seconda furono consegnate al prefetto dell'Urbe, Giunio Donato. Come tutti gli altri martiri antichi, le due sorelle furono sottoposte a pressioni di ogni tipo al fine di indurle ad abbandonare la fede cristiana. Di fronte alla loro ferma resistenza, al prefetto non restò altro che ordinarne la morte. Il conte Archesilao condusse Rufina e Seconda al X miglio della via Cornelia (più o meno corrispondente all'attuale Via Boccea) in un fondo chiamato Buxo dove Rufina venne decapitata, mentre Seconda fu bastonata a morte. I loro corpi vennero abbandonati perché fossero pasto alle bestie, ma una matrona romana di nome Plautilla, alla quale le due martiri in sogno avevano indicato il luogo del martirio invitandola a convertirsi, raccolse le spoglie delle due martiri e diede loro degna sepoltura nello stesso luogo. La selva luogo del martirio, detta fino ad allora “sylva nigra” a motivo della foltissima vegetazione che impediva addirittura ai raggi del sole di raggiungere il terreno e proprio per questo era luogo ideale per le esecuzioni sommarie, tanto che vi trovarono la morte anche Marcellino e Pietro, Mario, Marta, Audiface ed Abaco, in seguito fu detta “sylva candida” perché illuminata e santificata dal martirio di Rufina e Seconda, e divenne sede vescovile, dopo che sul luogo del martirio deiie Sante Rufina e Seconda fu costruita una piccola basilica da Papa Giulio I (341-353), poi restaurata da papa Adriano I (772-795), mentre papa Leone IV (847-855) l'arricchì di doni votivi. Dal secolo V la Diocesi ebbe un Vescovo proprio che nei documenti dei sinodi romani si firmava “Episcopus Sylvae Candidae” e, nei secoli successivi, “Episcopus Sanctae Rufinae”. Fu Papa Callisto II (1119-1124) ad unire la Diocesi di Santa Rufina a quella di Porto, entrambe spopolate, dando vita all'attuale Diocesi di Porto - Santa Rufina. A motivo delle continue incursioni dei barbari e dei saraceni che rendevano impossibile la vita nella campagna, il Papa Anastasio IV (1153-1154) fece trasferire i corpi delle Sante Rufina e Seconda nel Battistero Lateranense, precisamente nell'altare di sinistra dell'atrio (Gino Reali, vescovo).

 

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