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TESTO Basta profeti, per carità...

don Alberto Brignoli  

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (07/07/2024)

Vangelo: Mc 6,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,1-6

1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Un antico racconto narra che un falegname di circa 30 anni, oriundo di uno sperduto villaggio della Galilea, del quale si erano perse le tracce da alcuni mesi, entrò di sabato nella piccola sinagoga del suo paesino, abitato per lo più da contadini e artigiani, e incominciò ad annunciare la Parola di Dio, e a spiegare ai suoi compaesani (quasi tutti suoi parenti e amici, come spesso capita nei paesini) che cosa dovevano fare per cambiare vita e salvarsi. Si scatenò il putiferio... All'inizio, è un mugugno generale. Forse parte anche qualche fischio. I più educati e colti si scandalizzano in maniera più composta, ma non glielo mandano a dire: “Ma cosa vuole, questo falegname? Pretende di essere diventato un intellettuale, un maestro? Sappiamo benissimo da che famiglia viene e che sono mesi che gira la Palestina con un gruppo di pescatori da quattro soldi: per cui, che cosa vuole da noi? Ma che vada a predicare altrove!”.

A quel giovane falegname non restò che prenderne atto, interrompere la sua catechesi, visitare qualche malato, salutare e... riprendere il proprio cammino.

Questi abitanti di Nazareth sono proprio... gentaglia! Ma questo racconto potremmo benissimo ambientarlo in uno qualsiasi dei nostri paesi e non ci sarebbe molta differenza: siamo così anche noi... forse per invidia o forse per un senso di “sufficienza”, se qualche nostro compaesano, cresciuto con noi, osa insegnarci qualcosa di cui si è reso esperto, lo invitiamo quanto meno a “parlare come gli ha insegnato sua madre”!

Ma oggi, la Parola di Dio ci racconta la vicenda di Gesù a Nazareth perché vuole farci notare che anche con Dio ci comportiamo così. Spesso ci sentiamo talmente grandi nella testa che siamo capaci perfino di banalizzare Dio, di ridurlo a “una cosa come tante altre” che ci sono nella vita, o nel migliore dei casi a considerarlo come un famoso personaggio storico alla stregua di tanti altri; e magari, ce la prendiamo pure con lui perché ha la pretesa di scuotere le nostre coscienze, mentre noi stiamo bene così come siamo.

Tutto questo, forse, è frutto di quella “eccessiva familiarità” con lui, tale per cui arriviamo a permetterci di sminuirlo nella sua importanza, di scandalizzarci di lui perché ha la pretesa di insegnarci e di farci sentire bisognosi della sua Parola. Insomma, lo trattiamo come un “amicone di paese”, uno di quelli “da osteria” con il quale va tutto bene finché si va avanti a pacche sulle spalle: ma se inizia a chiederci qualcosa di più, soprattutto di usare la testa per riflettere sulla nostra vita e magari darci una mossa nella fede, ci coglie un senso di disagio, di insofferenza nei suoi confronti, e citando la banalità delle sue origini di famiglia, ci rifiutiamo di vedere in lui un maestro. “Ma cosa vuole, questo falegname che pretende di fare il teologo? Sappiamo benissimo da che famiglia viene: per cui, che cosa vuole da noi?”. Eppure, non sono convinto che si tratti solo di un atteggiamento “sufficiente”, frutto di cameratismo da paese e di banalizzazione di chi, simile a noi, certamente ha una preparazione maggiore.

Credo invece che sotto sotto ci sia un senso di “autosufficienza”, di presunzione di salvarsi da sé, di bastare a se stessi nella vita di fede senza il bisogno di un costante e rinnovatore contatto con la Parola di Dio. Così come ci vedo il segno di un'ostilità verso qualcosa che va “oltre” le apparenze, “oltre” le consuetudini quotidiane, “oltre” la sfera del puramente materiale e del puramente umano. Questa volontà di ridurre la fede a un fatto “locale”, “di paese”, e quindi chiuso, limitato, assolutamente privo di universalità, rischia di soffocare la forza di uno Spirito di Dio che spinge l'uomo a guardare “più in là” dei limiti della sua natura umana.

Nonostante Paolo nella seconda lettura di oggi si sforzi di farci comprendere che la nostra limitatezza e le nostre debolezze umane non ci consentono in alcun modo di bastare a noi stessi, e che abbiamo bisogno di un intervento dall'alto, di una Grazia che supplisca le nostre carenze e ci salvi, noi ci ostiniamo a pensare che non abbiamo bisogno di tanti aiuti o di tanti sussidi o di tante prediche: due o tre cosette essenziali, due cosine per bene, giusto il minimo per essere a posto con i precetti della fede, e morta lì. Che non vengano profeti (peggio ancora se “caserecci”) a smuovere le nostre coscienze o a “farci osare di più”: non fanno altro che perdere il loro tempo, e possono benissimo starsene a casa loro!

Siamo proprio una “razza di ribelli”, come dice il profeta Ezechiele. Siamo “testardi dal cuore indurito”, quando impediamo al Signore di entrare in modo un po' più deciso nella nostra vita. E non ci accorgiamo che, facendo così, uccidiamo quel desiderio di Dio che lo Spirito mette nei nostri cuori.

E così, quando pensiamo di bastare a noi stessi, chiudiamo Dio fuori dalla porta di casa nostra; quando riteniamo che la salvezza possiamo ottenerla da soli osservando due o tre precetti della fede, facciamo sparire Dio dalle nostre città; quando crediamo che di parole ne sentiamo già abbastanza e non sopportiamo altre parole, anche se piene di messaggi di vita e di speranza, allontaniamo Dio dalla nostra esistenza; quando la nostra fede assume caratteri molto chiusi, limitati, “provinciali”, e non si apre a dimensioni più universali in cui diventiamo solleciti delle necessità dei nostri fratelli di fede sparsi su tutto il mondo, chiediamo a Dio di non disturbarci e di lasciarci letteralmente in pace; quando il nostro pettegolezzo e le nostre chiacchiere fanno di tutto meno che creare una comunità di credenti riuniti nel nome di Gesù, facciamo come i suoi compaesani di un tempo, ovvero sparliamo di lui, lo prendiamo in giro, e addirittura ci scandalizziamo del fatto che voglia annunciarci la sua parola di salvezza.

Speriamo che la sua misericordia non termini, e che invece di scandalizzarsi di noi e di rigettarci, come noi facciamo con lui, continui solo a “meravigliarsi della nostra fede”, e continui a percorrere le strade delle nostre città e dei nostri paesi insegnando. Chissà che un giorno ci possiamo accorgere di lui e gli apriamo la porta di casa e anche quella del cuore...

 

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