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TESTO Custodire gli spazi dove si pensa e si insegna a pensare

don Angelo Casati   Sulla soglia

V domenica dopo Pentecoste (Anno B) (23/06/2024)

Vangelo: Gv 12,35-50 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 12,35-50

35Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.

37Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, 38perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:

Signore, chi ha creduto alla nostra parola?

E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?

39Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse:

40Ha reso ciechi i loro occhi

e duro il loro cuore,

perché non vedano con gli occhi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano, e io li guarisca!

41Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. 42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. 43Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

44Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Leggo di Abramo e vi confesso mi sembra di respirare. Come stessimo all'aperto, parole da leggere all'aperto. Respirare a pieni polmoni per la sconfinata promessa che tocca ad Abramo: "Padre di una moltitudine di nazioni ti renderò", ma anche per la altrettanto sconfinata promessa che sfiora il volto di Sara - anche se poi il suo nome sarà come oscurato -: "Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei". Diventare nazioni per essere figli di Sara, per essere - e non solo a parole - figli di Abramo. Un cielo pieno di stelle, un prato di stelle, una benedizione. Che, se è rattrappita, che benedizione è? La promessa viene prima, non nasce da prestazioni. Ha il colore del gratuito. Poi nascerà la tua risposta.

E non riguarda una sola nazione. E io vi leggo un invito a pensare in grande, in stagioni in cui nell'aria avverti il pericolo di restringere: e non solo la parola "nazioni" e declinarla al singolare, ma pure la parola "noi" e sostituirla con l'"io". "Diventerai nazioni": è detto anche a me, che di anni ne ho novantatre. Ad Abramo fu detto che di anni ne aveva novantanove. Non siamo ancora morti, né saremo mai morti, se terremo nel cuore il plurale, la resistenza alla sopraffazione, una ignominia che ancora una volta in questi giorni ha sfregiato il nostro paese con una immagine dì una atrocità inaudita. E fosse un'eccezione! La sostituzione dell'io menefreghista alla passione per il plurale. "Diventerai nazioni", anche India.

Faccio ritorno al testo. Respiravo. Ma vi devo pure confessare che, continuando nella lettura, mi prese - forse anche perché non sono un esegeta - una sorta di spaesamento. Dallo sconfinato si passava al segno della circoncisione. All'inizio mi apparve come un restringimento, provai una sorta di soffocamento. Poi pensai che nella carne di un popolo era il segno di quella benedizione a cielo aperto, per le nazioni, e non certo legata a un'osservanza formale della Legge. Benedizione sposata a un affidamento, a un abbandonarsi fiduciosi, come si fa quando ci si ama. La benedizione non è per meriti, è per grazia, per un amore che ti precede; poi nasce anelito a corrispondere, nel quotidiano della vita. Forse in questo orizzonte di apertura e restrizione potremmo leggere le parole di Gesù e il commento che ne fa Giovanni nel suo vangelo. Eccole: "Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce". Se sei nella luce sai dove vai, dice Gesù. Lui con la sua vita, le sue parole, il suo amore è Luce. Dono prezioso che ci toglie dallo smarrimento; e ci riconduce lungo cammini di senso se, povere pecore svagate, ci siamo di nuovo smarriti. Sai dove vai.

Ma vorrei aggiungere: la luce, se la ospiti in te, fa' chiarezza su chi sei, sul tuo vero volto. E dunque cantiamo gratitudine alla bellezza della luce. La luce ritorna, così puntuale che a volte neppure ti accorgi. Accade anche per Gesù. Ma accade anche qualcosa che mette tristezza, è accaduto e accade. Ha dell'incredibile: la paura e il rifiuto della luce. L'opposizione alla luce. Un ottenebramento che non è a caso. C'è da capire. E Giovanni oggi, dopo avere raccontato di Gesù che si dà l'immagine della luce, esplora le ragioni della paura e del rifiuto, e scrive: "I capi sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui". E aggiunge: "Anche tra i capi molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio". Voi, mi capite, i capi avevano costruito un sistema, che si reggeva sulla sottomissione e la paura. La luce rende liberi e a qualcuno dà fastidio la libertà. Il potere ha in odio la luce, che smaschera le intenzioni sottese, aborre i pensanti, parla con gli slogan, si circonda di gregari. L'ottenebramento delle intelligenze e della coscienza diventa terreno fertile per perseguire fini di parte e risultare vincenti.

Manipolare i non pensanti diventa allora quasi un gioco: la storia di Gesù al riguardo è eloquente. Venne la luce, ma poi la folla, pilotata dai capi, grida "crocifiggilo". Non bastò al pretore romano, pensate, l'occasione della luce, luce che più non si può, vinse l'amore per la carriera, come per i capi l'amore per la loro gloria. Accadeva ai tempi di Gesù, ma accade sempre. Accade anche oggi. Bisogna essere vigilanti. Non lasciarci chiudere gli occhi. E custodire gli spazi dove si pensa e dove si insegna a pensare, dove ancora si cerca, dove è possibile obiettare, dove anche il più piccolo può esprimere una domanda e tenere testa. Dove non c'è uno che pensa per tutti e decide per tutti. In questi giorni una scrittrice scriveva come sia inquietante vedere teste vuote e come sia facile manovrare chi non sa nulla perché gli dici cosa fare e lo fa. Sudditi. Il profeta di Nazaret annuncia un regno di figli, donne e uomini liberi. Come lui, Figlio di Dio, uomo libero. Figli della luce e non ciechi per sottomissione: "Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce". Luminosi, della luce di Gesù. Spero di non essere dissacratore se, pensando a lui, oso evocare versi - ne sento il bisogno - che Emily Dickinson scrisse per una amica:

Vederla è un dipinto
sentirla è una musica
conoscerla un'intemperanza
innocente come giugno
non conoscerla una tristezza
averla come amica un calore
vicino come se il sole
ti brillasse nella mano.

 

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