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TESTO Commento su Matteo 5,38-42

Missionari della Via   Missionari della Via - Veritas in Caritate

Lunedì della XI settimana del Tempo Ordinario (Anno II) (17/06/2024)

Vangelo: Mt 5,38-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

«Dà a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle». Queste parole che oggi Gesù ci rivolge, ci interpellano su come usiamo il nostro tempo e i nostri averi. Penso che ci mettano un po' in crisi perché in quanto a generosità siamo spesso mancanti. A volte, quando qualcuno in mezzo alla strada chiede l'elemosina, la risposta veloce che riceve (quando vi è) è: “non posso... non ho soldi dietro... non ho spiccioli”, mentendo per giustificarsi e voltando velocemente le spalle per non incorrere nello sguardo di colui che chiede e che interpella la coscienza. È molto più semplice non guardare i bisogni di coloro che ci stanno accanto perché ci scomodano e ci chiedono, anche in silenzio, che cosa ne stiamo facendo della nostra vita e dei nostri beni. Questo vale anche per quanto riguarda il tempo, l'attenzione, la cura che possiamo donare agli altri; a volte ci capita di essere poco generosi e attenti perché tutti presi dalle nostre faccende. È vero, abbiamo tanti impegni, e il Signore non ci chiede di cambiare il mondo; ma di aver cura, di fare una carezza, di dare una parola di conforto alle persone che incontriamo e conosciamo, questo sì! Abbiamo bisogno di educarci alla cura. In famiglia, in comunità, tra i nostri conoscenti, quante persone da sole, ammalate, anziane... e noi cosa facciamo? Charles Follereau, così scriveva in un messaggio nel 1966: «Amare non è solo dare al povero qualcosa del nostro superfluo, ma ammetterlo nella nostra vita. Bisogna riconoscere con coraggio che con degli alberi di Natale non si risolverà la questione sociale, né il problema della fame e della lebbra. Il povero, il perseguitato, il malato, ha una sete confusa di ritrovarsi, di avere coscienza che è un uomo come gli altri e che ha il diritto di vivere e il dovere di sperare. Non accontentarsi quindi di lasciargli cadere in mano l'offerta, ma condividere la sua sofferenza, la sua ira, i suoi desideri, ed ammetterlo alla conoscenza dei nostri sentimenti: questo vuol dire amarlo.... Che il buon Dio ci dia delle noie, se queste noie ci conducono sul cammino dei nostri fratelli. Che ci faccia la grazia di essere angosciati dalla miseria universale, in modo che noi, gente terribilmente felice, possiamo chiedere scusa della nostra felicità (se l'abbiamo), imparando così ad amare»

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«Di solito il cristiano che affronta con radicalità evangelica il tema della pace è compatito, schernito, considerato ingenuo utopista... Anche Gesù deve aver sentito pesare su di sé questo giudizio. Eppure Gesù ha vinto. Come ha vinto? Eliminando il concetto stesso di inimicizia. Io posso avere dei nemici, Gesù aveva dei nemici, ma Lui non era nemico di nessuno. Faceva fronte alla capacità dagli altri di fare il male con la sua capacità di amare. Il discorso della montagna ha come motivo ispiratore proprio la risposta al male: a chi ti chiede dai, a chi ti colpisce porgi... Le relazioni evangeliche si fondano su di un principio di disequilibrio: tu sei più importante di me. Infatti: date a coloro che non hanno da restituire, invitate coloro che non possono fare altrettanto...perché il povero vale di più. A chi ti colpisce su di una guancia porgi l'altra guancia. Per dire con questo gesto un messaggio che va ben oltre la reciprocità, oltre il rispetto delle opinioni altrui, oltre la tolleranza: vedi, sono disarmato, non aggredisco, non fuggo. Mi avvicino, mi porto a contatto tuo, sono a portata della tua mano, sono a distanza di cuore. L'altro capirà che è assurdo esserti nemico. Se tutti porgessimo l'altra guancia non ci sarebbero più guance colpite. Nell'equilibrio del dare e dell'avere Gesù istituisce una sproporzione, dai di più di ciò che ti è chiesto, ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare il contraccambio. La speranza di pace è il nome che diamo a questa sproporzione. Vincere il male con il bene» (p. Ermes Ronchi).

 

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