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TESTO Commento su Marco 12,28-34

Missionari della Via   Missionari della Via - Veritas in Caritate

Giovedì della IX settimana del Tempo Ordinario (Anno II) (06/06/2024)

Vangelo: Mc 12,28-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Uno scriba pone la domanda a Gesù: quale è il primo di tutti i comandamenti? Gesù risponde citando lo Shemà Israel, preghiera recitata ogni giorno e più volte dagli ebrei, e a questo comandamento ne aggiunge un altro facendone dei due uno solo: «Amerai Dio... e amerai il tuo prossimo». Amerai, come a dire che noi siamo chiamati ad amare sempre e in ogni momento! Quanto è difficile ciò! Quante volte facciamo esperienza della nostra fragilità! Vorremmo amare Dio con tutto noi stessi, con tutto il nostro cuore e invece ci rendiamo conto che il nostro cuore è spesso malato, abitato da altre cose. Siamo posseduti da altre cose ma non da Dio, finendo così per amare il nostro prossimo con la misura di cui siamo capaci senza Dio, cioè a tempo, in modo parziale, se non addirittura malato, di certo limitato ed egoistico. Chiediamoci dunque quali sono i possessi che ci possiedono rendendoci incapaci di amare Dio e il prossimo con tutto noi stessi; e chiediamo soprattutto al Signore la grazia di liberarcene.

Questo fatto è tratto dall'opera autobiografica "La notte" scritta dal Premio Nobel Elie Wiesel, deportato a Buchenwald:

«La porta del capannone si aprì. Apparve un vecchio, i baffi ricoperti di brina, le labbra blu per il freddo. Era Rabbì Eliahu, il rabbino di una piccola Comunità polacca. Un uomo molto buono che tutti amavamo al campo, anche i kapò e i capiblocco. Malgrado le prove e le sofferenze il suo volto continuava a riflettere la sua purità interiore. Era il solo rabbino che non dimenticavamo mai di chiamare rabbì a Buchenwald. Assomigliava ad uno di quei profeti di un tempo, sempre in mezzo al popolo per consolarlo. E, fatto strano, le sue parole di consolazione non irritavano nessuno, Esse calmavano veramente. Entrò nel capannone e i suoi occhi, più brillanti che mai, sembravano cercare qualcuno: "Forse avete visto mio figlio da qualche parte?".

Suo figlio si alzò dal pagliericcio dove si era buttato, sfinito, dopo la giornata di lavoro massacrante. Avevamo appena terminato la nostra misera cena e stavamo per coricarci tutti, ma ci fermammo alla vista di Rabbì Eliahu che si dirigeva, esitante eppure stranamente gioioso verso il suo primogenito, l'unico ancora in vita della sua famiglia dispersa e distrutta. Non potemmo fare a meno di ascoltare la confessione che il rabbì pronunciò con voce sommessa: "Yoshua, figliolo...non volermene, ma domani io e te non mangeremo... ho ceduto le nostre razioni, il pane e la zuppa a un prigioniero della baracca qui vicino...". Trattenemmo il fiato e chiedendoci che cosa poteva aver spinto Rabbì Eliahu, uomo assennato e padre affettuoso a compiere un gesto così folle. Un intero giorno senza cibo, nelle nostre condizioni! Yoshua non disse niente, stimava troppo suo padre per non comprendere che, se aveva agito così ci doveva essere un motivo..."In cambio lui...lui mi ha ceduto questo, guarda Yosh, questo!" Con la mano che gli tremava, ma non per il freddo, si sfilò dalla blusa sdrucita un libretto ridotto altrettanto male. Ci stringemmo attorno ai due come uno stormo di piccioni attorno a un mucchietto di becchime. "Guarda Yosh! Guardate tutti figlioli!". Era una Bibbia, arrivata lì chissà come, passata da chissà quali mani e preservata dalle requisizioni e distruzioni di tutti i nostri oggetti personali per chissà quale misterioso disegno del destino. Del destino o di Dio, quel Dio che qui a Buchenwald sembrava non aver posto la sua dimora. E adesso si faceva vivo così? Mandava una lettera? Mandava la sua Parola? Quella Parola che tante volte mi aveva gonfiato il cuore in sinagoga quando salmodiando coi miei compagni mi sentivo orgoglioso di appartenere al popolo eletto? Ma adesso qui, a Buchenwald il popolo eletto scontava duramente il privilegio della sua elezione e la Parola si era fatta silenzio. Troppo tardi, Dio per rimediare, io non potevo condividere l'emozione di Rabbì Eliahu e gli girai le spalle proprio mentre lui con voce calda e sicura iniziava: "Shemà Israel..." "Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze.". Mi fermai e ritornai nel gruppo che, stretto ancora di più a Rabbì Eliahu, si era unito alla sua preghiera: "Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli..." Yoshua sorrideva, dondolandosi...aveva fatto bene, aveva fatto bene suo padre a scambiare le razioni del giorno dopo con un cibo che non sarebbe mai venuto meno. Terminata la preghiera ci buttammo sfiniti sui nostri sacconi e io mi accorsi che stavo piangendo. Ma era la prima volta, dal mio arrivo a Buchenwald che piangevo di dolcezza." (Eli Wiesel).

Ci sono momenti nella vita in cui non si cerca più cibo, non lo si chiede più, non lo si desidera più. Sono i momenti in cui veramente si sperimenta la parola del Signore che dice: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio " (Mt 4,4) Quando, si è in un campo di concentramento o inchiodati al letto da una grave malattia e si sta per morire non si desidera più mangiare, ma si continua a desiderare di essere felici. Della felicità non si può fare a meno. Ed è Dio che cerchiamo quando cerchiamo, sogniamo e desideriamo la felicità.

 

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