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TESTO Comento su Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

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Santissima Trinità (Anno B) (26/05/2024)

Vangelo: Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Qual è il nome di Dio? «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo»... Mai come oggi, festa della Trinità, semplice e carica di mistero a un tempo, questa invocazione appare in tutta la sua pregnanza. È il biglietto da visita, la lettera di presentazione (ahimè quanto abusata!) di ogni cristiano di ogni tempo. È il gesto frettoloso, addirittura scaramantico, anche di chi non si riconosce nella fede cristiana. È la soglia limite, il confine, sulla quale si gioca la differenza (il che non implica, di fatto, il rifiuto di un'onesta collaborazione) tra ateo (ma oggi chi si dice ancora tale?) e credente. Il nome di Dio e la sua esistenza, più che i suoi attributi, sono infatti il nodo fondamentale della dialettica fede-ateismo. Come credente, devo ammettere che il ricorso all'onnipotenza, all'onniscienza e alla signoria di Dio per spiegare il creato e tutte le realtà nelle quali siamo immersi mi sembra almeno riduttivo. Forse ci può aiutare la sintesi estrema della pagina del Deuteronomio che oggi leggiamo: Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra. È all'interno stesso di questa realtà cosmica, e nel contempo dentro di noi, nel santuario più intimo della nostra coscienza, che le spiegazioni possono essere cercate da tutti gli esseri umani che papa Giovanni definiva «di buona volontà»: e spero di non scandalizzare affermando che la secolarizzazione (fenomeno ambiguo per la doppia faccia con la quale si presenta) può essere, in questo senso, «purificatrice».

Dio è molto di più di un alibi alla nostra paura, alla nostra pigrizia culturale e di una giustificazione della nostra impotenza storica: Paolo, scrivendo con le sue mani callose da lavoratore ai cristiani di Roma, lo afferma vigorosamente: «Non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma lo Spirito che ci rende figli». Figli di un Dio che chiamiamo con il nome di Padre, anzi, ancora di più: domenica scorsa, festa di Pentecoste, l'abbiamo chiamato Dio-Comunione. Oggi, festa della Trinità, dovremmo chiamarlo Dio-Distinzione. E tuttavia ci rendiamo conto di quanto il nostro vocabolario sia povero e inadeguato a descrivere una Realtà che infinitamente ci trascende. Eppure dovrebbe essere comprensibile, senza ricorrere a tortuose analisi psicologiche, ma semplicemente in base alla nostra esperienza quotidiana, che il significato di «comunione» e quello di «distinzione» sono correlati, attigui: non posso fare comunione se non con qualcuno che sia «altro», diverso da me. Non esiste un rapporto autentico di amicizia e di amore se non tra persone che siano totalmente distinte e che si accettino reciprocamente nella loro diversità. L'alternativa sarebbe solo l'illusione di amare un «altro». In realtà amo solo me stesso e trasferisco su un'altra persona i desideri rivolti verso la mia persona. È amore di cattura. Lo rivolgo verso mia moglie, mio marito, la mia compagna o il mio compagno. Lo rivolgo, parimenti, verso Dio. È narcisismo, non amore. A me pare il peccato vero del nostro tempo.
L'amore di Dio non è narcisistico, perché Dio è Padre. Non tutti i padri amano i figli non narcisisticamente, poiché molto spesso proiettano su di loro i propri desideri insoddisfatti, le proprie ansie, le proprie frustrazioni (e le proprie aggressività). Dio non si comporta come se fosse un padre, lo è realmente. Dio è l'Essere generante: ed essere «generante» implica capacità di uscire dal sé, di essere dono, e dono gratuito. Dio, Padre generante, si dona gratuitamente in Gesù, il Figlio che è Dio (indivisibile è l'essenza di Dio), ma Persona diversa dal Padre. Lo recitiamo ogni domenica, forse frettolosamente, ripetitivamente, ma è il tema teologico fondamentale per noi oggi: una teologia per tempi incerti e faticosi come quelli che stiamo vivendo: «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato». La grandezza del nostro Dio sta proprio qui: nell'uscire fuori dal Sé per un atto continuo ed eterno di generazione. Un Dio così non possiamo sentirlo distante, «nei cieli», ma vicino... «Tu autem eras intimior intimo meo et superior summo meo», dirà Agostino (Confessiones, 3,6,11). Non un Dio irraggiungibile, ma un Dio-con-noi.
Cristo, generato dal Padre, è nostro fratello. Anche Lui, non «come se fosse», ma realmente. In Lui, Figlio generato dal Padre, scopriamo l'accoglienza di Dio. Attraverso Lui, accogliendo la sua incarnazione, scopriamo perché e come essere, anche noi, puro dono. Scopriamo la gratuità della nostra stessa incarnazione nel mondo, nella storia. Scopriamo l'essenza intima della Chiesa che, o si presenta come comunione nella distinzione oppure viene relegata al livello di una istituzione mondana. Se è un'istituzione mondana farà «campagna elettorale», cercherà cioè di fare proseliti, se è comunità mistero di comunione, invererà quanto ci riferisce Matteo nell'evangelo di oggi: «Andate, e fate discepoli tutti i popoli...», annunciate la bella notizia dell'amore gratuito di Dio verso tutti, nessuno escluso.
Lo Spirito ci aiuta a entrare in questo ritmo trinitario di Dio. Ci fa persone, gravitandoci nella dinamica distinzione-comunione. Lo Spirito è il grande contestatore della Chiesa: dall'interno di questa, con i profeti che, con un linguaggio spesso duro, ci richiamano costantemente al dovere dell'incarnazione; dall'esterno, con la realtà quotidiana che è in costante cambiamento e che ci impedisce di ragionare per schemi prefissati, di attuare modelli di comportamento standardizzati. Lo Spirito ci dona la fantasia necessaria per esprimere l'amore come scelta politica, per non nominare «invano» il nome di Dio, facendolo cioè partecipe dei nostri odi, delle nostre divisioni, delle nostre guerre fratricide.

TRACCIA PER LA REVISIONE DI VITA
1 Recitando il Credo nella Liturgia domenicale di oggi, proviamo a immaginare la Trinità come il luogo del dono puro e gratuito.
2 La nostra famiglia è comunità di accoglienza reciproca? E verso gli altri, all'esterno?
3 Che cosa possiamo impegnarci ad attuare - realisticamente, passo dopo passo - per realizzare pienamente il modello familiare che ci suggerisce la Trinità?

LUIGI GHIA - Direttore di Famiglia domani

 

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