TESTO Benedetto tu che vieni nel nome dell' amore
don Angelo Casati Sulla soglia
V domenica T. Pasqua (Anno B) (28/04/2024)
Vangelo: Gv 17,1b-11
1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. 5E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi».
E' da brivido leggere le parole ultime - sbaglio, non saranno mai ultime, ma sempre all'inizio - di Gesù e di Stefano in vigilia di essere uccisi per avere portata, sino all'estremo rischio, la missione loro affidata. Da brivido sarà stato forse per alcuni di voi riandare in questi giorni alle parole ultime, non ultime, di condannati a morte della Resistenza. Gli squarci sono a non finire, ma io vorrei fare sosta sulle ragioni della speranza e sulle ragioni della gloria. Una domanda mi bussa al cuore, è questa: come è possibile non rintracciare nelle loro parole un'ombra di sogno strappato, non il rammarico per una vita sprecata, non l'avvilimento per ideali avversati? Né Gesù né Stefano leggono, in quanto sta accadendo, una capitolazione, una resa, una fine, ma parlano al futuro.
Parlano a discendenze future, In vista di croce e di lapidazione non danno a croce e lapidazione nome di fine, ma di futuro. E il futuro nei loro occhi siamo anche noi. Ed è emozione. Come è possibile non disperare né dire parole disperate? Come non concludere - e lo si fa spesso - dicendo che così vanno le cose, e non ne vale la pena. Eppure Stefano riconosce che questa, della persecuzione, è stata la sorte dei profeti nella storia - "Quali dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?" - ma, nonostante tutto, non tace la sua testimonianza per Gesù in faccia a coloro che lo avevano ucciso di croce, ucciso perché era il Messia dei tempi nuovi, e la sua era una parola libera e liberante, pericolosa per gli uomni delle ipocrisie e della menzogna? Come proteggere nel cuore una speranza così duramente sfidata? Proprio in questi giorni un'amica mi ha ricordato con quali parole evocasse la speranza uno dei più innovatori teologi del secolo scorso, Raimon Panikkar: "La speranza" diceva "é vedere l'invisibile nel visibile". Quasi un invito a leggere nel sottotraccia. Ebbene la preghiera di Gesù nella notte e il discorso in pieno giorno di Stefano - voi ve ne siete accorti - è un rileggere la storia.
Stefano rilegge la storia di Abramo, la storia di Mosè, la storia dei padri e vede un Dio che non abbandona, vede Gesù come il più grande segno di un Dio che non abbandona. Gesù a sua volta rilegge la sua vita e porta a svelamento la traccia che soggiace sin dall'origine. Riascoltiamo: "E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola". Si aprono esili fessure su Dio; e noi assistiamo, fiato sospeso. a questo raccontarsi tra Padre e Figlio in una intimità che ci sorprende e ci fa stupefatti. All'origine non sta dunque il caso, sta l'intimità, sta l'amore. E il Figlio mandato a rivelare questo, a svelare l'invisibile che soggiace a ogni cosa, a svelare il segreto più profondo di noi stessi, di ogni storia: che è amare.
E' ciò che ci fa vivere senza inaridire, senza scolorire, senza appassire. Il Figlio ha fatto conoscere il nome di Dio che non è terrore, ma intimità. Le storie si intrecciano: anche i discepoli, anche noi, chiamati a dar gloria con la nostra vita a questo nome di Dio, che è intimità. Riascoltiamo le parole di Gesù, i suoi occhi - è da brivido - arrivavano a noi, eravamo nei suoi occhi, fuori dai suoi occhi solo l'abbruttimento: "Non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi". Ora sappiamo che cosa è gloria e anche cos'è vanagloria. La parola gloria fa rima con splendore. E quando splende un nome? Ora sappiamo, per parola dall'Alto, che cosa fa splendere un nome.
Che li si conosca o no, ci sono nomi che splendono, spesso nel segreto, la luce non fa rumore. A far splendere un nome, un viso, è l'amore. A volte ci accade di chiederci che cosa dà gloria al nome di Dio: "sia santificato il tuo nome". O che cosa faccia accadere e germogliare il regno di Dio: "Venga il tuo regno". O che cosa sia compiere la sua volontà: "sia fatta la tua volontà". È amare. Amare è il concreto della vita. Splende allora la gloria di Dio, splende il suo nome e splendiamo anche noi. Non ditemi che splendono quelli accecati di vanagloria, quelli che mettono il loro nome dappertutto, quelli che la parola è solo la loro. Guardiamoli in volto, non splendono. E questo ci può accadere. E se accade, si strappa l'unità per cui Gesù ha pregato, preghiera accorata: "Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi".
L'unità. Che sembra sempre più frantumarsi, anche a livello di popoli. Perché unità non è la cupezza di un solo colore, ma l'armonia di mille colori, è l'allegria di riconoscersi tutti sotto lo stesso cielo. Concludo, con una piccola confessione. Partecipavo a una Messa in questi giorni. Non so se accade anche a voi - a me sì - di dire a volte parole assonnate dall'abitudine. Stavamo cantando: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore". I pensieri mi correvano all'omelia di oggi. Mi dissi: "Che smemoratezza è non ricordare che "nel nome del Signore" vuol dire "Benedetto Gesù che viene nel nome dell'amore". Poi pensai: anche noi nella vita da quante persone andiamo, in quanti posti ci rechiamo.
Che grazia se qualcuno, vedendoci arrivare, potesse dire: "Benedetto tu che vieni nel nome dell'amore, tu sei una benedizione".