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TESTO Il pastore capace di compatire

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (21/04/2024)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Dopo la guarigione dello storpio avvenuta alla porta Bella del tempio di Gerusalemme, Pietro comunica agli astanti rimasti attoniti e inebetiti che il loro stupore sarebbe ingiustificato se si immedesimassero nella novità di vita apportata dalla resurrezione di Gesù. Quel Cristo che voi avete crocifisso, esclama, è lui artefice di questa e altre guarigioni corporali, morali e spirituali. Mentre voi credevate di dargli la morte, lui vi ha dato la vita in abbondanza (Gv 10, 10) e vi darà la vita eterna se crederete e spererete in lui. Gesù è la via, la verità e la vita, ha donato la vita perché è risuscitato da morte. E darà la vita in abbondanza, cioè la pace, la gioia, la realizzazione a coloro che lo accetteranno come Messia e Salvatore. Con la resurrezione del suo Figlio, Dio ha dimostrato di poterci concedere ogni cosa, anche quello che per noi è inimmaginabile o inafferrabile e in tale maniera, straordinariamente abbondante e proficua, sempre nel Risorto può concederci di vivere per sempre, sia al presente che nell'eternità (Ef 3, 20).

Nulla di strano quindi se un paralitico, per quanto gravato da anni dal suo male, si è ristabilito nel nome di Gesù Cristo: nella misura in cui Giudei e Sacerdoti avevano esaltato la sua morte, così adesso egli è in grado di dare la vita anche in ogni sorta di guarigione.

Il discorso di Pietro sortirà prodigali vantaggi anche in senso numerico, ma soprattutto rivelerà che egli stesso e gli altri fratelli apostoli saranno in grado di affrontare ogni sorta di avversità e di difficoltà e perfino le minacce e le percosse: in forza dello Spirito Santo sempre Gesù stesso agirà con il dono della “parresia”, cioè della franchezza e del coraggio della verità ad ogni costo che caratterizza appunto il vero apostolo.

E la missione apostolica, man mano che procederà nell'annuncio della Resurrezione e nei racconti relativi alla vita del Cristo prepasquale, insegnerà almeno per implicito che Gesù, proprio perché fautore di vita, è il nostro pastore sollecito.

Il suo ruolo si distingue da quello del mercenario o del dipendente di un'azienda agricola per la speciale sollecitudine e solerzia nei confronti di ogni singola pecora. Di più: Gesù manifesta la sua premura non solo per il gregge in senso globale, non importa quante e quali pecore abbia, ma per ciascuna delle pecore di cui esso è composto, anche la minuscola e in apparenza irrilevante.

Della figura del pastore nella Bibbia si era già parlato, anche perché ancor prima di muoversi verso l'Egitto presso Giuseppe Gran Visir gli Israeliti vivevano di pastorizia e ogni famiglia conduceva le greggi al pascolo e ad abbeverarsi (Gen 29); da qui l'idea di Dio identificato come pastore del suo popolo, provvido garante della sua assistenza e del suo amore nei confronti degli Israeliti stessi. Dio esercita questo elicato ruolo di pascere per mezzo di pastori appositamente istituiti, cioè i profeti e gli annunciatori della sua Parola, i quali hanno il compito gravoso di occuparsi dell'intero gregge e di sostenere le pecore deboli e inferme, provvedendo alla loro guarigione e alla loro tutela. Per mezzo dei suoi emissari Dio vuole raccogliere al suo seguito tutte le pecore disperse e radunare in un solo gregge tutto il bestiame abbandonato a se stesso, facendone un unico ovile e guai ai pastori che pascono se stessi approfittando delle pecore loro affidate! (Ez 34).

Questi saranno puniti nella misura in cui approfitteranno della loro posizione per emergere sul gregge traendone profitto, ma il Signore stesso si cimenterà nei confronti delle pecore perdute.

Dio infatti, quale creatore e Padre di misericordia, non può non conoscere ciascuna delle sue pecore. Ne conosce il nome, l'identità, la storia personale, le emozioni e le speranze. Scruta l'animo di ciascuna, esplora i sentimenti e i propositi di ogni pecorella, fosse anche la più piccola e sparuta.

Quindi le raccoglie una per una egli stesso, anche qualora i pastori visibili non vogliano occuparsene, e nel raccoglierle attorno a sé adopera i due bastoni della benevolenza e dell'unione (Zc 11, 7), per realizzare la comunione e la concordia nella perseveranza nella verità e nel bene.

Ma chi può configurarsi come pastore realmente sollecito se non Dio stesso nella Persona del Verbo incarnato Gesù Cristo, il quale è capace di compatire fino in fondo, poiché prima ancora di essere pastore è stato agnello, vittima immolata per la nostra redenzione e salvezza, e sulle sue spalle ha portato i problemi e le ansie di ciascuno di noi, pecorelle disperse e affidate alla fatalità?

Chi può compatite le infermità delle pecore se non colui che è stato pecora egli stesso, anzi agnello, avendo subito ogni sorta di prova e avendo condiviso con tutti ansie, problemi, difficoltà, riprovazioni a tutto sottomesso tranne che al peccato? (Eb 4, 14 - 15). Gesù Cristo partecipa delle nostre sofferenze, prendendo su di sé le nostre miserie le nostre debolezze e rispettando tutte le condizioni dell'essere uomo sottomesso e vessato; comprende le difficoltà e gli spasimi di ciascuno, essendoseli sobbarcati egli stesso; condivide i patemi e i dolori di tutti, avendoli sofferti su di sé soprattutto nella prova straziante della croce. Ma a tutte queste aberrazioni ha dato risposta superandole tutte e ciascuna con l'evento speciale della resurrezione, che apporta la vita.

Proprio in tutto questo Gesù ha le prerogative attendibili per definirsi nostro pastore sollecito che si pone egli stesso davanti al gregge ma allo stesso tempo cammina assieme a noi accompagnandoci passo dopo passo e conducendoci con quell'attenzione e disinvoltura di chi vuol rendersi vicino alle pecore.

E lo fa ancora oggi nel ministero degli apostoli nella persona dei loro successori (il papa e i vescovi) attraverso i quali, come nel libro degli Atti, intende conferire a ciascuno di noi la salvezza e la vita, perché nessuno si trovi disperso e smarrito.

E ai medesimi apostoli, suoi ministri visibili, rivolge costantemente il medesimo monito: “Fatevi modelli del gregge, non spadroneggiando sul gregge a voi affidato”(1Pt 5, 1 - 4).

 

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