TESTO Ci ama davvero tanto, questo Dio!
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (10/03/2024)
Vangelo: Gv 3,14-21
«14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Ci stiamo avvicinando alla Pasqua (ce lo ricorda anche il colore rosaceo delle vesti liturgiche di questa domenica), e la Liturgia della Parola inizia a parlarci in maniera più decisa del grande mistero della nostra salvezza. Dio si fa presente nella storia dell'umanità principalmente per questo: per salvarci. E il Dio di Gesù Cristo, rispetto al Dio dell'Antico Testamento, ci salva in una maniera a dir poco incomprensibile, per certi aspetti sconvolgente.
Ascoltando il suo colloquio notturno con Nicodemo, che era dottore della Legge in Israele, sembra che Gesù faccia di tutto per mostrare a lui e a noi un'immagine di Dio totalmente differente da quella che il popolo d'Israele aveva sino ad allora conosciuto, e che forse spesso è ancora l'immagine che anche noi abbiamo di Dio. Gesù cita un episodio dell'Antico Testamento, ma lo rilegge sotto una luce completamente nuova. Al capitolo 21 del libro dei Numeri, il popolo d'Israele - in cammino nel deserto - si lamenta con Dio per la mancanza di acqua e di cibo. Dio si stanca di un popolo del genere, capace solo di lamentarsi e incapace di fidarsi di lui, e allora manda dei serpenti velenosi a sterminarlo. Il popolo castigato si pente, e tramite Mosè chiede perdono a Dio, il quale si impietosisce e lo salva attraverso il segno del serpente di bronzo. Lo schema del racconto è evidente: grandezza di Dio - ingratitudine del popolo; castigo di Dio - pentimento del popolo; pietà di Dio - salvezza del popolo.
Questo schema, con Gesù, salta: Dio, per mezzo della croce di Cristo, salva l'umanità, indipendentemente dal suo pentimento. La salva perché... la salva. Non lo fa perché impietosito da un popolo che soffre per i suoi castighi. Anzi, con Gesù pare che il concetto di castigo sparisca totalmente: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Non un Dio, quindi, che salva perché pentito del castigo che ha dato, ma un Dio che salva per amore, lontano anni luce da quello schema “castigo-pentimento” tipico del Dio ben noto a Nicodemo.
Di primo acchito, ci verrebbe subito da dire che un Dio così non è giusto: o ti penti per i tuoi peccati, oppure Dio non ti salva, anzi, se ti condanna ha tutto il diritto di farlo! E qui, arriva l'altra grande novità del Dio di Gesù Cristo: Dio non condanna l'uomo. Dio ama talmente l'umanità da lasciarla libera di credere o meno in lui: libera, addirittura, di condannarsi con le proprie mani o di accettare la sua salvezza. E tutto questo, solo per il fatto di credere in lui: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio”.
La libertà umana, voluta dall'amore di Dio, è talmente grande che ha il potere di allontanare definitivamente l'uomo da Dio; ma è pure talmente fragile, che esaurisce presto tutta la sua potenza distruttrice, e nonostante questo sa di poter confidare in un Dio che non la condanna più e che pensa solo a salvarla. E non la salva a qualche maniera, la salva donandole la vita eterna: “Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Ricordiamoci che quando l'evangelista Giovanni parla di vita eterna (ben diciassette volte, nel suo Vangelo), non parla mai di qualcosa che avverrà “nell'aldilà”: parla di qualcosa di infinito, di grande, di qualitativamente grande, che dona pienezza di vita qui e oggi.
Certamente, un Dio così è ingiusto: dove c'è una colpa, ci vorrebbe un castigo, e dove c'è bontà, un premio. Invece no: dove c'è colpa, c'è perdono, e dove c'è bontà è segno che il perdono sta portando i suoi frutti, quindi è la strada giusta. Non c'è più il Dio severo retributore che dà a ognuno secondo i propri meriti o le proprie colpe. Di fronte a un Dio severo, all'uomo non restava altra scelta che quella di Adamo nell'Eden: nascondersi da lui e rifugiarsi nelle tenebre (come fa' chi agisce nel male). Invece, con questo Dio, bisogna uscire alla luce, senza aver paura di mostrare le nostre opere, buone o meno che esse siano: “Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
Dio non ci condanna, pensa solo a salvarci; Dio non ci retribuisce in base a ciò che meritiamo, pensa solo ad amarci, sempre e comunque; Dio ci porta alla luce, anche se preferiremmo nasconderci da lui; Dio ci permette anche di fare a meno di lui, tanto ci ama e rispetta la nostra libertà!
E come se non bastasse, fa di più. Non ci chiede di professare una fede che “dica la verità”, ma che “faccia la verità”: “Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”. Quindi, non vuole che proclamiamo un elenco di dogmi a cui credere in maniera incondizionata, ma vuole una vita fatta di opere di buona volontà. Dio non ci salva per la dottrina che professiamo o per il solo fatto di essere cristiani battezzati, ma perché facciamo le sue opere, in altre parole la sua volontà. È davvero una fede stimolante, apertissima, piena di opportunità per ogni uomo, ma anche molto impegnativa, perché non basta professare la verità (per quello, è sufficiente recitare il Credo), occorre “fare” la verità: e la verità, sono le sue opere. Le sue, non le nostre, come dice bene Paolo nella seconda lettura: “Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”.
La nostra condanna non è opera di Dio, dipende solo da noi: a lui interessa la nostra salvezza; quella, sì, è opera sua. Credo che non possiamo davvero permetterci di fare a meno di un Dio così disponibile con l'umanità intera!