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TESTO La mitezza e la meraviglia delle relazioni

don Angelo Casati   Sulla soglia

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IV domenica T. Avvento (Anno B) (03/12/2023)

Vangelo: Mc 11,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 11,1-11

1Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. 3E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». 4Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». 6Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. 7Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:

«Osanna!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

10Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Osanna nel più alto dei cieli!».

11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.

Vi confesso che il brano di Isaia mi rimane molto oscuro. I moabiti erano lontani parenti del popolo di Israele, ma da secoli nemici; nel nostro brano appaiono come un popolo vessato da un tiranno e in fuga, in fuga e da ospitare. Allora indugio, ma per poco, per dirvi che leggendo mi sembrava affiorasse una situazione che in parte evoca la nostra: fughe da paesi, da devastatori di umanità, dispersi da nascondere e fuggiaschi da non tradire e le donne al guado - sempre loro a pagare di più - come una nidiata di uccelli spauriti. Storie di fughe, di devastazioni, di distruzione e di possibili rifugi. Non sempre però indugiamo a chiederci che cosa sta alla radice di ogni devastazione.

Importante sorprenderla, altrimenti i rimedi hanno mani deboli. Alla radice sta una logica "illogica", cioè contro l'arte del pensare, del pensare bene. La logica del devastatore è quella di chi è ubriaco di se stesso, della propria immagine, del proprio successo, a tal punto da non sopportare che qualcuno possa disconoscerlo o reclamare la propria libertà e indipendenza. Il male sottile che inquina i rapporti. da quelli più vicini a quelli più lontani. All'origine, penso, anche della violenza sulle donne che fa rabbrividire persino il cielo. Nel nostro brano sbuca alla fine la promessa di un re messia che sarà il capovolgimento della tirannia, un'inversione di marcia, una conversione.

Sentite: "Sarà stabilito un trono sulla mansuetudine e vi siederà con tutta fedeltà, nella tenda di Davide, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia". Ma dove mai un trono sulla mansuetudine? Sembra quasi un ossimoro! E un potere sollecito del diritto, pronto alla giustizia? Voi capite perché queste parole sono state viste da molti come premonitrici dell'avvento del Messia. Voi intuite come l'immagine di "un trono sulla mansuetudine" possa aver evocato l'immagine di Gesù che entra in Gerusalemme seduto su un'asina. Era un gesto profetico, di quelli, che cancellano d'un colpo vecchi fantasmi sul Messia, su Dio, sul regno di Dio: è il rovescio.

Scegliendo l'asino Gesù deliberatamente cancella interpretazioni, dure a morire: il Messia non viene, come nelle parate dei grandi, su un destriero, non all'interno di cerimoniali imponenti, non esibendo forza, viene in "mitezza". "Viene mite": commentano gli altri evangelisti. E questa è come la risposta alla nostra domanda su perché Gesù sia così puntiglioso, fin nei dettagli, circa la modalità di quel suo ingresso: troppi ancora lo aspettavano come re, nella potenza. Viene seduto su un asina, nessuna esibizione, a portata di mano. Non viene in un'organizzazione, ma in una spontaneità; non viene in un rituale, ma nell'improvvisazione; non viene a creare distanze o timori, ma per strade e piazze, a creare fraternità, festa e allegria.

Non era così facile rovesciare una mentalità che veniva da lontano. Nemmeno allora tutti capirono il segno e ne è una prova l'acclamazione della folla, quel richiamo al regno di Davide: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!". Nessun regno di Davide. E' il regno della mitezza che ha il suo incipit nei cuori. Un giorno, all'inizio della sua missione, sul monte Gesù aveva detto: "Beati i miti perché erediteranno la terra". Sono le parole a cui attinge nel suo libro "Mitezza", Eugenio Borgia, celebre psichiatra e luminoso saggista. Ricorda scrittori, cita per primo il Cardinale Martini. Appunta, tra le altre, queste splendide riflessioni del cardinale: "Mitezza è la capacità di cogliere che nelle relazioni personali - che costituiscono il livello propriamente umano dell'esistenza - non ha luogo la costrizione o la prepotenza, ma è più efficace la passione persuasiva, il calore dell'anima".

E ancora: "L'uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l'ardore dei suoi sentimenti, rimane duttile e sciolto, non possessivo, interiormente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore, in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l'uomo, e muove l'uomo all'obbedienza e all'amore senza mai usargli violenza. La mitezza si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale; è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione" Bellissimo: la mitezza viene dal "calore dell'anima". Ma dove vedo il calore dell'anima? Non certo negli occhi di coloro che fanno di tutto per emergere, di coloro che sfruttano ogni occasione per sopraffare gli altri, negli occhi di coloro che quando parlano l'ultima parola deve essere la loro. E la chiamano forza, una forza perdente e distruttiva.

Dove vedo il calore dell'anima? Negli occhi di coloro che danno nome di virtù alla mitezza. Le danno nome di 'forza', perché voi sapete che 'virtù' viene dal latino 'virtus' che significa 'forza', una virtù dimenticata, sorellina in esilio, che va riaccolta. Riaccolta e ascoltata. Parla da cattedre vive. Cattedre sono gli occhi. Gli occhi di coloro che, con il loro sguardo mite, sanno dare valore a tutto, sanno far parlare tutti. Danno valore anche alla fragilità, alla fragilità che è di tutti, aprono il sorriso di tutti. Di loro Gesù disse: "Erediteranno la terra". Non ereditano soldi, cariche, cose. Ereditano la meraviglia delle relazioni, quindi la terra, quella vera. Così viene Gesù per noi in questo avvento: nella mitezza, questo il suo modo.

Anche a me viene, per grazia seduto su un'asina. Dico "per grazia" perché io non sono che un vivente piccolo e fragile, lontano dall'essere perfetto, e posso solo tagliare qualche ramo o stendere per un attimo per terra il mio mantello.

 

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