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TESTO I verbi del Re

don Michele Cerutti

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (26/11/2023)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Questa domenica chiude l'anno liturgico, ma chiude anche una serie di catechesi che la Parola di Dio ha voluto offrirci, in queste tre Pasque settimanali, soffermandosi sui discorsi escatologici ovvero sulle questioni ultime.
Aiutati da Paolo facciamo una sintesi per domandarci: Credo nella Risurrezione?
Domanda scontata, ma che invece non lo è visto anche l'alta percentuale di cristiani che prendono la comunione, eppure non credono su questo aspetto fondamentale della nostra fede.
Aprire questo cappello introduttivo serve per dare senso poi a tutto quello che noi viviamo ogni domenica e ogni festa liturgica.
Addentrandoci propriamente in questo giorno occorre dire che ogni qualvolta celebriamo la solennità di Cristo Re siamo chiamati a esprimere qualche considerazione sulla regalità di Gesù sgomberando il campo da visioni mondane.
La sovranità non sta nel potere, nella forza, ma nel servizio.
La prima lettura, tratta dal profeta Ezechiele, offre spunti importanti per comprendere la funzione del Re.
Si fa riferimento ai governanti, i sacerdoti del tempo, coloro che quindi avevano un'autorità e che nella cultura di quel periodo venivano identificati proprio con questo titolo: pastore.
Ezechiele lancia, contro questi che esercitavano un potere, espressioni forti perché si sa chi si trova in situazioni di guida molto spesso rischia di farsi prendere dall'idea di comando.
Questa solennità quando viene proposta nel lontano 1925 vede nel mondo la presenza di tante teste coronate, che tuttavia non erano ben viste dai sudditi proprio perché molti vivevano il loro ruolo come despoti.
La Chiesa voleva offrire al mondo un volto autentico della Regalità.
Oggi meno sovrani ci sono, ma l'esercizio malato dell'autorità persiste in diverse forme, non solo di governi nazionali, ma anche in tutte quelle situazioni in cui possiamo trovarci in una posizione di direzione.
Per evitare di trasbordare in queste funzioni Ezechiele usa dei verbi molto delicati e profondi nello stesso tempo.
Colpisce che il primo verbo è cercare.
Il pastore si mette in ricerca. Non siamo noi a cercare lui, ma lui cerca noi.
Quando diciamo allora io non trovo Dio nella mia vita dovremmo chiederci mi lascio trovare da Dio?
Perché è Lui il primo a cercarci.
Sono in quell'atteggiamento di chi riconosce di avere bisogno di Lui?
Diversamente quando siamo noi a mettere in moto la ricerca è perché vogliamo che sia Lui stesso a darci le risposte che noi vogliamo.
Una volta trovate queste pecore vengono passate in rassegna.
Questo pastore sa benissimo che il suo bestiame lo ha trovato impigliato nei rovi del mondo e che con pungenti spine sono state ferite.
Quindi non prende pecore belle, sane e robuste.
Molte sono anche tremanti dal freddo perché trovati nei giorni freddi e nuvolosi, altri spaventati perché presi circondati dalla caligine.
Tutto questo per dire che non sono le prime della classe, ma per loro c'è una predilezione particolare.
Passa in rassegna tutti coloro che la storia ha ferito.
Il pastore, quindi, conduce queste pecore su nuovi sentieri e nuovi pascoli e le farà riposare, ma non contento si preoccupa che nessuna rimanga indietro e per questo va a cercare anche quella che si è persa e può essere minacciata dalle bestie fameliche.
Fasciate e curate sono pronte a muoversi per portare quel latte forte e buono che nutre e disseta.
Tutti questi verbi ci mettono in evidenza la delicatezza del pastore che noi identifichiamo in Gesù, a cui in questa domenica attribuiamo il titolo di Re.
Alla luce di questi atteggiamenti dolci la nostra risposta non può che essere generosa e abbondante.
Da questo amore discende poi l'atteggiamento del cristiano che trasmette, con semplici gesti, Dio stesso.
Un elenco di attenzioni che tutti noi dobbiamo avere l'uno per l'altro.
Non è necessariamente il povero dell'Africa o del nostro quartiere, ma siamo tutti noi.
Dare dell'acqua all'assettato, o il dar da mangiare all'affamato sono piccoli segni che dobbiamo donarci l'uno con l'altro per poi essere pronti ad andare da colui che vive situazioni estreme di marginalità.
Guai però se pensassimo che il nostro impegno di cristiani si risolve solo nell'attenzione a questi ultimi tralasciando poi l'amore tra di noi.
Il nostro prossimo è colui che ci sta vicino e a volte, anche per esperienza personale, è più difficile vedere il volto di Cristo in chi ci sta accanto (marito, figlio, moglie, madre, padre, cognata e suocera, confratello e consorella per chi vive la vita sacerdotale e religiosa) che in quello che ai nostri occhi appare povero.
Tuttavia, l'esame finale della nostra vita si misurerà su questa dimensione della carità.
Siamo stati trovati, curati e fasciati per essere anche a noi a nostra volta portatori di un messaggio di grande delicatezza.
Aumenta la nostra fede hanno chiesto i discepoli a Gesù noi aggiungiamo aumenta la nostra carità perché sia specchio del nostro amore per te.

 

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