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TESTO Commento su Matteo 23,1-12

don Michele Cerutti

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XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/11/2023)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 23,1-12

In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Ogni annuncio della Parola di Dio, ci dice Paolo, porta alla responsabilità dell'accoglierla non come parola umana, ma come dono del Padre, per essere guida del nostro agire.
Siamo chiamati carissimi a ricevere nel nostro cuore questa Liturgia anche se non nascondo essere tagliente per tutti.
Non si rivolge solo a noi presbiteri, come potrebbe sembrare, ma è rivolta a ciascuno.
Malachia non è un profeta che le manda a dire e il suo compito di denuncia lo porta avanti con determinazione senza troppo giro di parole.
Una denuncia in questi versetti contro i sacerdoti di Israele colpevoli con il loro insegnamento di condurre fuori il gregge.
Questa Parola è rivolta a me in quanto presbitero, ma è rivolta a tutti quanti in quanto sacerdoti nel battesimo.
In forza di questo sacramento siamo chiamati a essere annunciatori di una verità senza annacquamenti fatti per piacere al mondo.
Le invettive di questa domenica le rivolgo quindi a me e a voi perché dobbiamo interrogarci sul nostro essere investiti della funzione sacerdotale.
Abbiamo concluso un mese come quello di ottobre, in cui abbiamo pregato per i missionari chiamati ad annunciare il Vangelo fino agli estremi confini della terra e noi domandiamoci come realizziamo la nostra missione in casa nostra. Sappiamo indicare Gesù agli uomini che ci chiedono ragioni della nostra fede? Annacquiamo la proposta di fede oppure la sappiamo proporre nella sua bellezza?
Ci sprona in tal senso il ricco magistero di Papa Francesco e allora domandiamoci se sappiamo ascoltare i suoi appelli per essere testimoni autentici in mezzo al mondo che viviamo.
Dello stesso livello di forza abbiamo anche Gesù in questo lanciarsi contro i farisei che vivono la fede sempre attaccati alle forme esteriori invece che al contenuto vero di questa.
Il rischio di una fede farisaica esiste anche nella Chiesa.
Mi ha fatto molto specie quanto molti hanno parlato del Sinodo nella Chiesa ancor prima di aver letto i documenti.
Ci si attacca a tutto pur di non aprirsi alle novità che inevitabilmente la Chiesa deve affrontare non per piacere al mondo assolutamente ma certamente entrare in dialogo.
Il riproporre una modalità antica della Liturgia con pizzi e merletti oggi certamente non è più proponibile.
Il ricercare la lingua latina ad esempio è sicuramente anacronistico.
Eppure molti vanno alla ricerca di tutte queste false sicurezze per chiudersi in pseudo certezze che si smontano.
Uno dei rischi è il vivere la fede in Dio, come uno status symbol che ci differenzia dagli altri.
L'orgoglio della fede dobbiamo viverla, ma non per porci su un piedistallo, ma per indicare una via e una strada a coloro che sono in cammino o a coloro che non ponendosi interrogativi dal nostro agire si interpellano.
La fede deve diventare qualcosa di divisorio, ma condurre all'unità.

 

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