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TESTO Cristo morto è risorto: cuore dell' annuncio missionario

don Michele Cerutti

I domenica dopo la Dedicazione (Anno A) (22/10/2023)

Vangelo: Lc 24,44-49a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Domenica scorsa ci siamo stretti intorno alla Cattedra del Vescovo riscoprendo l'appartenenza di Chiesa particolare all'interno di quella Universale.
Tutto ciò ci aiuta in questa domenica per riscoprirci chiamati ad annunciare al mondo la verità della fede: Cristo morto e risorto.
Nel brano evangelico troviamo un Gesù che va alla ricerca dei discepoli che, rattristati per la morte del Maestro, si erano rintanati per paura dei Giudei e si trovavano disperati.
Quei volti segnati dalla sofferenza apprendono la lezione che da sempre Gesù aveva loro consegnato: Il Figlio dell'uomo deve soffrire, ma il terzo giorno risorgerà.
Una lezione questa che ha il fondamento nella Scrittura ovvero nell'Antico Testamento e che in Gesù Risorto si concretizza. La tristezza cede il passo alla gioia per un incontro così significativo.
Da quel momento nasce la missione. Si è missionari solo dopo aver sperimentato la forza di un incontro.
Quale stile deve caratterizzare la missionarietà?
Prima di tutto questa è laddove il Signore ci indica. Quando celebriamo la Giornata Mondiale delle Missioni dobbiamo uscire dall'equivoco che questa è rivolta ai soli Paesi poveri o Paesi non cristiani. La Missione invece ci deve rimandare alla nostra responsabilità di evangelizzatori nei nostri ambienti.
Pietro viene indirizzato nella casa di Cornelio e il Principe degli Apostoli sembra porre delle resistenze a questo compito che è stato affidato.
C'è in questo discepolo il retroterra dei cristiani provenienti dall'Ebraismo che considera uomini, come il centurione romano, impuri perché si cibano di quello che la tradizione biblica non voleva.
Non nasconde Pietro le sue perplessità, ma quell'incontro offre una lezione importante che si conclude con una considerazione forte che oggi appare nella prima lettura.
“Mi rendo conto che Dio non fa preferenze di persone”.
Cari amici, è proprio così nello stile missionario. Nessuno deve essere escluso dall'annuncio.
La buona Novella va sempre annunciata. Il seminatore nella parabola di Gesù getta i suoi semi senza preoccuparsi di sapere su quale terra andranno a finire. Dio ha bisogno delle nostre mani per seminare nel cuore degli uomini poi i frutti di quella seminagione li raccoglierà Lui stesso.
Essere missionari oggi vuol dire vincere resistenze e annunciare senza preoccuparsi di dove il seme andrà a poggiarsi perché quello che riteniamo un terreno improduttivo può essere considerato opportunità e occasione per altri di ricevere quella parola che aiuta.
Mi viene in mente quante volte può essere capitato che una espressione utilizzata, un incoraggiamento consegnato, ma che sembravano al momento rifiutati è riemersa dopo anni da chi l'ha ricevuta e ha trovato in quella frase spunti per la propria vita.
Non bisogna mai e dico mai stancarsi di essere annunciatori del Vangelo in tutti gli ambienti in cui ci troviamo.
Non solo però aperti al confronto con tutti, ma anche chiari nella proposta che annunciamo senza annacquamenti.
La verità che presentiamo è Cristo nato, morto e risorto.
Un dato di fede importante che ci rende capaci di annunciare non un Dio lontano, ma un Dio vicino alla nostra storia.
Annunciamo un Dio che conosce tutte le sfaccettature del nostro essere creature segnate anche dalla sofferenza e dalla malattia.
Quando penso al mondo islamico dove alla divinità si dice si deve la sottomissione e non quella relazione intima che i cristiani ricercano con il Creatore si comprende quante possibilità abbiamo come discepoli di Gesù di annunciare al mondo il Vangelo.
Allora il nostro cuore si allarga non più solo alla nostra Chiesa locale, con la ricchezza del suo rito, ma si apre a tutti.
Abbiamo terre dove c'è ancora bisogno di far risuonare la bellezza di una Parola di Dio.
La responsabilità missionaria è di tutto il popolo dei battezzati perché in forza di questo sacramento siamo Re, profeti e sacerdoti.
Tutti siamo annunciatori e missionari della verità.
Annuncio che va fatto prima di tutto pregando perché ogni attività ha in Lui il suo inizio e il suo compimento.
Annuncio che prosegue con la testimonianza della propria vita perché la nostra missione diventa credibile se chi ci ascolta vede che quello che diciamo si attua nella nostra esistenza.
Annuncio non annacquato ma forte e vero senza paura di essere rifiutati.
Allora quella Parola consegnata diventerà balsamo sulle ferite di chi ci ascolta.
Ci inseriamo quindi così nel solco di una tradizione che ci è stata consegnata e sperimentata perché anche noi possiamo trasmetterla secondo le modalità nuove che la società richiede, ma senza con questo modificarla.
La responsabilità è grande, ma noi cristiani abbiamo modelli a cui rifarci e sono i campioni della fede che hanno camminato prima di noi e hanno trovato le difficoltà che anche noi incontriamo.
Da quella ricchezza di esperienze allora la missione è più indirizzata.
Attingendo dalle meraviglie che Dio compie nella nostra vita possiamo rendere più autentica la nostra proposta.
L'esperienza cristiana passa attraverso le nostre gambe, ma perché guidati da un cuore ardente ovvero un cuore che è stato accarezzato da Dio molte volte e anche immeritatamente.
Il modello dei modelli è Maria che appena ricevuto il dono della Maternità sorprendente corre subito dalla cugina Elisabetta anche lei incinta di Giovanni Battista.
I doni di Dio vanno condivisi. La missione è proprio sapere che, occorre senza porre limiti, correre a portare al mondo il fuoco della Risurrezione.

 

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