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TESTO Sincerità, trasparenza, decisione

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

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XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2023)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

La misericordia, il perdono, l'amore di Dio superano le congetture umane e i calcoli d'interesse e questo lo si riscontrava la scorsa Domenica, con il paradigma di Dio, padrone della vigna, che può chiamare a lavorare a qualsiasi ora e in qualsiasi momento gli si può corrispondere. La ricompensa che elargisce non è mai decisa in relazione al rendimento o alle ore di lavoro, ma dettata dalla sola libertà del suo amore. Non importa accogliere tardivamente l'invito nella vigna, qual che conta è accoglierlo e aderirvi. Anche un solo atto di bene, realizzato nel nome del Signore, quindi con passione, amore e dedizione e spirito di fedeltà, quello può meritare ricompense molto più grandi di quante ce ne precludano invece tantissime opere di bene fatte con distacco e con soli fini esibizionistici e di vanità. Paolo insegna che la carità sorge “da un cuor puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (1Tm 1, 5); è il riflesso di un animo convertito e di uno spirito rinnovato e per questo essa è la condizione indispensabile di credibilità.

A proposito della “retta coscienza” siamo ulteriormente esortati alla coerenza, alla concretezza e soprattutto alla trasparenza nella nostra risposta a Dio, quando ci chiami a lavorare nella sua “vigna” che è la Chiesa. Già nelle nostre abituali relazioni ci infastidisce la doppiezza e la falsità di chi promette attenzione e disponibilità su determinati impegni e poi si smentisce venendo meno alle sue promesse. E' proprio desolante l'esperienza di persone tronfie e ipocrite che con grande vanità e ostentazione si mostrano disponibili ad aiutarci e di fatto poi si defilano quando arriva il momento di adoperarsi. L'ipocrisia di chi dice di volerti aiutare e poi di fatto non si fa più vivo. Al contrario, siamo incoraggiati e sostenuti da coloro che in un primo momento si mostrano alieni e distaccati nell'aiutarci, ma in un secondo momento ci ripensano e si prodigano con profitto per noi. Coloro che cioè si negano all'inizio, ma subito dopo mostrano il massimo della disponibilità, quelle sono persone delle quali ci si può davvero fidare. S. Ignazio di Antiochia diceva “Meglio tacere ed essere, che parlare senza essere”; l'ampollosità di tanti discorsi promettenti può solo sedurre per poi lasciare delusi. La modestia, il silenzio, la taciturnità di coloro che possano sembrarci freddi e distaccati, al contrario si rivela tante volte molto più desiderabile, perché appunto coloro che poco parlano alla fine sono quelli che maggiormente operano.

Tante volte troppe parole possono confondere e tradire. La messa in atto di quello che non si proclama, la concretezza delle azioni che si commentano da sole e la silenziosa testimonianza di chi agisce senza perdersi in chiacchiere invece può edificare e costruire anche l'intera società.

Il lavoro nella vigna del Signore, di qualsiasi entità o specifico esso sia, non può che essere fatto con trasparenza, lealtà e dedizione seria, senza false promesse o autoaffermazioni di millanteria. E' più giustificato quindi colui che in un primo momento si nega di andare a lavorare ma poi si reca nella vigna, anziché colui che promette solennemente di andarvi ma poi si defila per altre strade.

In quest'ultimo caso si rivela un'immaturità di fondo legata a una radicalità di fede solo apparente, a una coscienza solamente interessata e a un cuore non del tutto puro., visto che protende a cecare solo i suoi interessi. Chi dice “si” all'inizio e poi si contraddice ama solo pavoneggiare se stesso ostentando da ammazzasette virtù o proprietà che non possiede.

Lo spirito con cui si edifica il Regno di Dio è invece quello della fede radicale e motivata, della speranza motivata e consolidata dagli eventi e della carità che di queste due è la risultante. La carità effettiva e sincera, che contraddistingue il vero discepolo di Gesù. E questo è sempre benvenuto, in qualunque momento debba verificarsi, anche quello più tardivo, perché non è mai troppo tardi per l'onestà e per l bontà di fondo che scaturiscono dal cuore rinnovato e convertito.

Nella prima Lettura il profeta Ezechiele ci illustra che tutto dipende anche dal nostro ben volere e dalla costanza e tenacia nel coltivarlo: si può infatti essere giusti e poi allontanarsi dalla rettitudine per darsi al vizio e al peccato, come pure si può essere infimi e peccatori e poi convertirsi sinceramente e darsi al bene e alla promozione della giustizia e quest'ultimo è il caso encomiabile ed esaltante.

Ciò che però è maggiormente riprovevole è quanto viene detto nelle ultime righe del brano evangelico di oggi: non voler credere e aderire nonostante l'evidenza della realtà. Mostrarsi pavidi e refrattari alla verità, anche quando questa ci viene palesata in modo inequivocabile e immediato, per esempio per mezzo della concretezza della giustizia e delle buone azioni, magari perché si vuol restare radicati nelle proprie convinzioni e nelle posizioni di comodo. Facile credere in quello che si vuol credere a tutti i costi. Ma come pretendere poi di essere raggiunti dalla grazia e dalla salvezza?

 

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