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TESTO Al di là delle apparenze

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2023)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

In queste tre domeniche - a partire da domenica scorsa - il Vangelo ci sta presentando tre parabole di Matteo che hanno come elemento comune il luogo nel quale sono collocate: la vigna. Se teniamo conto che nella tradizione biblica, soprattutto dell'Antico Testamento, la vigna è spesso simbolo del popolo d'Israele di cui Dio si prende cura, ma dal quale non sempre ottiene i risultati sperati, di certo queste tre parabole vogliono insegnarci qualcosa riguardo al rapporto che abbiamo con Dio, non tanto a livello personale, quanto come popolo di Dio, come Chiesa.

La scorsa domenica, Gesù ci ha parlato delle situazioni di invidia e di gelosia che si possono creare all'interno di una comunità di credenti tra chi entra a far parte della comunità all'ultimo momento, “all'ultima ora” e per cammini magari poco convenzionali, e chi invece fa parte della comunità da molto tempo, e si sente come autorizzato a essere tenuto in massima considerazione da Dio e da tutti i fratelli, quasi a farla “da padrone” all'interno della vigna, lavorando per la quale deve certamente essere pagato di più e meglio rispetto a tutti gli altri.

Questa idea di “farla da padrone” assumerà toni drammatici la prossima domenica, quando la parabola dei vignaioli omicidi ci mostrerà in anticipo la vicenda storica di Gesù, figlio unigenito del Signore della vigna, uccidendo il quale i servi malvagi crederanno di poter prepotentemente diventare eredi e padroni assoluti della vigna stessa e quindi del Regno di Dio (teniamo conto che siamo al capitolo 21 di Matteo, quindi subito dopo l'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme la Domenica delle Palme).

Nel mezzo, si colloca la piccola parabola di oggi, nella quale i due figli del padrone vengono da lui stesso invitati ad andare a lavorare nella vigna. L'invito ha risposte completamente differenti, ma anche esiti completamente differenti, e le due cose, perdipiù, si incrociano: il figlio che, in apparenza, dice al padre di non averne voglia, alla fine va a lavorare in vigna; e quello che, sempre apparentemente, risponde subito di sì all'invito, in realtà se ne fa un baffo della volontà del padre.

Se quindi il tema di fondo della prima parabola è l'invidia, la gelosia, e nella terza parabola il tema sarà quello della prepotenza, il Vangelo di oggi ci mette di fronte a un altro atteggiamento molto diffuso tra i credenti, in particolare - come ormai abbiamo compreso bene - tra coloro che si ritengono “credenti DOC”: si tratta dell'apparenza, l'apparire, il farsi vedere belli, bravi e buoni di fronte a tutti, Dio compreso, salvo poi fare di lui quello che si vuole, addirittura beffandosene.

A parte il giudizio sferzante e violento di Gesù nei confronti delle autorità religiose del suo tempo, che poco prima lo avevano interpellato riguardo alla figura di Giovanni Battista, e alle quali Gesù risponde definendole peggiori dei pubblicani e delle prostitute, credo che Gesù getti una luce e anche un giudizio su tanti nostri comportamenti, spesso simili più a quello del secondo figlio che a quello del primo: ovvero, spesso preoccupati più dell'apparenza che della sostanza, nel vivere la fede. Agli occhi di tutti, infatti, i “bravi credenti” del tempo di Gesù erano preoccupati di mostrare - ma solo in apparenza - la loro santità e la loro perfezione, per la quale non avevano certo bisogno di un Giovanni Battista che li richiamasse alla conversione. Chi invece ne sentiva il bisogno e quindi aveva riconosciuto nel Battista un uomo di Dio, sono stati pubblicani e prostitute, il peggio del peggio, coloro che all'apparenza e agli occhi di tutti erano ritenuti lontani da Dio.

Ma Dio - lo sappiamo bene - non guarda all'apparenza, Dio guarda al cuore; Dio non guarda alla nostra vita di presunti peccatori o di apparentemente santi, Dio guarda all'amore che ci mettiamo nelle cose che facciamo; Dio non guarda alle parole che diciamo, alle formule che pronunciamo o alle molte preghiere che recitiamo, Dio guarda ai fatti, alla nostra vita di carità nei confronti del prossimo.

Perché a dire apparentemente di sì a Dio e poi farci gli affari nostri, beffandocene di lui, siamo capaci tutti; forse, invece, è il caso di essere sinceri con Dio, dicendogli tutta la nostra fatica nel seguire la sua parola e i suoi insegnamenti, a volte anche con un “non ho voglia di te”, come fa il primo figlio, e poi - sia pur con fatica - cercare di rimetterci in riga e fare la sua volontà, nonostante tutto.

Ecco perché anche questa parabola, dopo quella di domenica scorsa, è un giudizio pesante sugli atteggiamenti, sulle parole e sui comportamenti che spesso noi cristiani “della prima ora” mettiamo in atto, quando ci facciamo vedere e ascoltare da tutti come uomini e donne di Dio, ma in realtà il nostro cuore è lontano da lui, molto più lontano del cuore di coloro ai quali noi non daremmo neppure un centesimo di valore, all'apparenza, eppure nel silenzio e nell'abnegazione fanno la volontà di Dio.

Meno apparenza, allora, e più sincerità; se non ci riusciamo con gli uomini, facciamolo almeno con Dio, visto che a lui non possiamo proprio nascondere nulla.

 

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