TESTO Pentiti perché attratti dall'umiltà di Gesù e dall'ideale dell'unità nella carità
XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2023)
Vangelo: Mt 21,28-32
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Il valore del pentimento
La parola di Dio di questa domenica ci invita a valutare la nostra esperienza di pentimento.
L'atto di pentirsi è segno di vittoria di fronte alla resistenza del nostro orgoglio e della nostra arroganza umana alla possibilità di conversione, lasciando una precedente condizione sbagliata di vita per trovare finalmente la felicità attraverso una scelta giusta e migliore, rispetto a quella fatta in passato.
La Parola di Dio, attraverso la profezia di Ezechiele, risuona chiara per ciascuno di noi: «Il malvagio a riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà» (Ez 18,28).
L'esperienza del pentimento è una questione di vita; La “resistenza al pentimento” è scegliere di morire spiritualmente, psicologicamente, esistenzialmente, prima di sperimentare la morte fisica, perché la vita di chi non sa pentirsi diventa un inferno, cioè una strada sbagliata senza via d'uscita per migliorare.
L'esperienza del pentimento è una luminosa testimonianza di umiltà, poiché la persona pentita riconosce e accetta con serenità quatro cose:
- la limitazione della propria libertà individuale;
- la possibilità di sbagliare nella vita, ma avendo la possibilità di miglioorare la propria condotta morale;
- la prospettiva parziale della propria interpretazione della realtà, poiché non si ha mai, nella “tasca” della coscienza, la verità della soluzione di tutti i problemi;
- la consapevolezza di avere nella mente un'immagine imperfetta di Dio Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo e la necessità di progredire nell'esperienza di fede autentica.
Il pentimento è il rimedio contro i demoni della vanagloria individuale, dell'individualismo religioso e dell'egoismo. Tutto ciò porta le persone a difendere solo i propri interessi.
La parola di Dio, attraverso l'apostolo Paolo, ci mette in guardia dal pericolo di vivere schiavi della superbia, dell'orgoglio e dell'egoismo individuale. In Fil 2,3-4 riceviamo la seguente esortazione, che è frutto della contemplazione del cammino di umiltà di nostro Signore Gesù Cristo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri».
Il pentimento è il segno positivo di accettare la sfida di affrontare con ottimismo le difficoltà nei rapporti con gli altri, poiché i nostri incontri umani sono segnati da conflitti, pregiudizi negativi, giudizi che danneggiano il dialogo e il confronto sincero.
Chi si pente riconosce l'impossibilità di agire senza chiedere l'aiuto divino dello Spirito Santo, per rimanere sempre aperto alla conversione, al cambiamento di mentalità e di stile di vita.
Tutti abbiamo bisogno di pentimento: peccatori e giusti
Il Vangelo di oggi ci insegna che ci sono due gruppi di persone in cui possiamo identificarci:
- il gruppo dei peccatori etichettati come “persone spacciate o irrecuperabili” (gruppo rappresentato dalle prostitute e dai pubblicani al tempo di Gesù);
- quello di coloro che si sentono giusti e santi (gruppo rappresentato dai sacerdoti e dagli anziani del popolo, cioè dalle autorità religiose legate al tempio di Gerusalemme).
Il gruppo dei peccatori
Le prostitute e i pubblicani erano peccatori pubblici, scomunicati da parte dei farisei e delle autorità religiose del giudaismo. Era loro impedito di frequentare la sinagoga e il tempio di Gerusalemme; Non erano in comunione con la comunità religiosa dei fedeli poiché erano pubblicamente disobbedienti ai comandamenti dei Legge di Mosè.
Gesù si rese conto che queste persone, etichettate come “gente perduta”, “gente irrecuperabile”, erano le persone più aperte e più disponibili alla predicazione di Giovanni Battista, che li aveva spinti a fare un'esperienza di pentimento e di conversione.
Questi “pubblici peccatori”, per Gesù, restano “figli amati di Dio Padre”, nonostante le loro scelte sbagliate, nonostante i loro peccati, la loro vita contraria ai comandamenti della Parola di Dio.
Rappresentano quel figlio di padre che, quando il padre gli chiese di andare a lavorare nella vigna, disse: «non voglio». Ma, subito dopo, si pentì, si rese conto della sua arroganza, del suo orgoglio e della sua libertà assoluta, «si pentí e andò a lavorare nella vigna di suo padre» (Mt 21,29).
Questo gruppo di peccatori, oggi, continua ad essere formato da prostitute, da persone schiave dell'idolatria del denaro, che si arricchiscono con il male della corruzione; ma possiamo aggiungere i tossicodipendenti e gli alcolisti, i trafficanti di armi, di droga, di migranti. Sono quelle persone secolarizzate, distanti dalla pratica religiosa, dedite al progetto di vita della prosperità economica che segue le proposte pagane dell'edonismo, della fama e dell'autorealizzazione nel mondo virtuale di internet.
Chi segue strade sbagliate, contrarie alla proposta del Regno di Dio fatta da Gesù, potrà sperimentare l'opportunità di un pentimento e di una conversione più grandi e sinceri, quando vivrà il fallimento del suo personale progetto di vita esclusivamente umano e mondano ed, ora, trovandosi “in fondo al pozzo” del suo isolamento e della sua infelicità, umilmente invoca: «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza; io spero in te tutto il giorno» (Sal 24, 4bc-5).
Il gruppo dei giusti
I sacerdoti e gli anziani del popolo erano apparentemente persone giuste, esperti teologi dei comandamenti della Parola di Dio, praticanti della religione ebraica.
Questi “giusti”, per Gesù, restano “figli amati di Dio Padre”.
Questo gruppo, per la loro apparente situazione di santità, rappresenta quel figlio di padre che, all'invito del padre ad andare a lavorare nella vigna, disse: «Sì, signore!». Ma, subito dopo, con atteggiamento ipocrita, «non andò» (Mt 21,30).
In questo gruppo rientrano oggi tutte le persone che si vantano di frequentare la comunità cristiana e difendono la religione del merito. Dio ha il dovere di benedirli con prosperità fisica, finanziaria e relazionale perché essi obbediscono ai comandamenti della Parola di Dio e della Chiesa; Dio deve punire i peccatori ed essi devono starne lontani, guardandoli con disprezzo. Queste persone “giuste” non sono umili; non riescono a contemplare la bella immagine di Dio, che è «misericordia e bontà. Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta; guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via» (Sal 24,6.8-9).
Forse non hanno mai sperimentato l'abbraccio liberante della misericordia e della fedeltà di Dio Padre, forse non riescono a comprendere il senso della ricerca della pecora smarrita, promossa da Gesù Cristo, il buon pastore, venuto «perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza» (Gv 10,10). Trovano difficile percepire la presenza divina dello Spirito Santo, già riversata nel cuore di ogni essere umano, donandogli la dignità di figlio amato dal Padre e la forza di una vita nuova.
L'attraente forza dell'umiltà di Gesù e dell'ideale dell'unità nella carità
Sono due le motivazioni potenti che possono attivare l'esperienza liberatrice del pentimento e della conversione:
- l'umiltà di Gesù e
- l'ideale dell'unità nella carità.
Oggi siamo invitati ad «avere in noi gli stessi sentimenti Cristo Gesù» (Fil 2,5).
Il cammino di umiltà di Gesù, fatto di svuotamento di se stesso nel mistero dell'incarnazione e dimostrato nell'opzione fondamentale della sua obbedienza al Padre, fino alla morte e alla morte di croce, è stato premiato dalla sua risurrezione! Ora tutti sono invitati a riconoscere che Lui è veramente «il Signore» (Fil 2,6-11). Vale la pena sperimentare la “resa” all'umiltà di Gesù, morto e risuscitato per la nostra salvezza!
Cristo risuscitato ci offre l'opportunità della «consolazione in Lui, di qualche conforto nella carità, della comunione di spirito, di sentimenti di amore e compassione» (Fil 2,1), cioè dell'unità nella carità nelle nostre relazioni. Pentiamoci allora dell'antica condotta di vita e convertiamo la nostra esistenza per essere promotori di questa unità nella carità nel nome di Cristo!