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TESTO Anche lui un pane disceso dal cielo

don Angelo Casati   Sulla soglia

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IV domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (24/09/2023)

Vangelo: Gv 6,24-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,24-35

24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

A dire il vero era stara una giornata piuttosto movimentata, dico quella che precede il nostro racconto. Tra giorno e notte, tra monte e lago, di cose ne erano successe. Sul prato verde del monte le folle si erano perse a lungo ad ascoltare il Rabbi di Nazaret, poi lo videro prendere tra le mani la sproporzione, cinque pani e due pesci di un ragazzo, recuperati da una frettolosa ricognizione. Lo videro alzare gli occhi a ringraziare e fu condivisione totale e festa tra cinquemila. Il primo poi a eclissarsi sul monte fu Gesù; e a sera tardi a loro volta a dileguarsi furono i discepoli scesi dal monte per raggiungere barche, già prese da buio a riva. Non era finita, in pieno lago, piena notte, ecco una tempesta di acqua e di vento. Li raggiunse il Maestro, che erano immagine della paura e fu subito acquietamento di acque e approdo a Cafarnao. Il giorno dopo - ed è il nostro - le folle, rimaste dall'altra parte del mare, come per fiuto puntarono verso Cafarnao: là secondo loro dovevano essere approdati, là li raggiunsero.

La loro prima domanda, quando lo rintracciano, suona strana: "Rabbì, quando sei venuto qua?". "Gesù rispose loro...". In verità non risponde, quasi il loro fosse un tanto per dire, quasi facessero una questione di ore quando la questione su cui interrogarsi era ben altra. E forse non è un dettaglio che Gesù ignori la domanda-spreca-tempo. Immaginate che cosa succederebbe, se Gesù mettesse piede in alcuni nostri dibattiti, discussioni che brillano per la loro superficialità, irrilevanza, inconsistenza? Non sprecherebbe né tempo né parola. Va dritto alla questione, sentite: "In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo". Come a dire "Non vi siete interrogati sul segno dei pani; e ora non vi interrogate sul desiderio che vi porta spasmodicamente a cercarmi".

Ecco il punto: Interrogarsi sul desiderio. Dove vi porta il pane spezzato sull'erba verde? A cercare chi, a cercare che cosa? Sul monte Gesù aveva d'un lampo intuito che già fremevano nell'illusione di avere trovato un re da incoronare. Un Messia che trasformasse in pane le pietre. Come lo voleva il tentatore nel deserto: "Di' che queste pietre diventino pane". Non che non gli interessa del pane: dopo tutto era stato proprio lui a preoccuparsene sul monte. Ma è brutto - sensazione brutta - quando ti senti cercato solo per un fine economico o per un vantaggio personale o per una idea ristretta che si son fatta di te. Brutta sensazione. Non approdano al cuore. Colgono una minima parte di te. All'opposto quella parte di te, quella che tiene i tuoi pensieri più intimi, i più preziosi e più amati, non la sfiorano. Le folle erano rimaste al pane. Lo pensavano come uno che potesse dare del pane; ma che fosse lui pane no, proprio non ci arrivavano. E tocca a lui dirlo. E accade scompiglio: è la fine di un mondo per chi la religione la misura a suon di miracoli. Per loro Mosè ne ha fatti di più. Allora gli dissero: "Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: "Diede loro da mangiare un pane dal cielo"". Impermeabili ad aprire orizzonti. Erano rimasti alla manna. Ma che cosa può inventare Dio?

Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso dal cielo"? E questa, sì, era la novità: che lui fosse disceso dal cielo, e non minaccioso come grandine o tempesta, ma sceso come pane. Alla domanda che abbiamo incrociato nei vangeli alcune domeniche fa "E voi chi dite che io sia?", oggi potremmo rispondere: "Tu sei pane, pane disceso dal cielo". E la sensazione che proviamo è che con Gesù la parola "pane" si allarghi all'infinito. Ebbene sì, raccontando del pane, ci potremmo forse accorgere che stiamo raccontando insieme di Gesù. Potrebbe forse essere un esercizio di fantasia, di fantasia dell'anima. Ii pane che prima è nel pensiero, il pane, che è congregazione di semi e macinatura, il pane che ha in sé la compagnia nascosta dell'acqua e il brivido del lievito, il pane che non è un "d'improvviso" ma conosce l'attesa delle ore. Il pane che è umiltà di una tavola; che fa rumore, ma lieve, quando viene spezzato e quasi non si sente.

E poi accadono trasfigurazioni: diventa vita. "l pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo": riascoltate questa parola di Gesù, è di una bellezza unica. Fate sosta al presente del verbo: "Dà la vita", la nutre oggi. Perché una vita senza orizzonti ingrigisce. E poi emozione per l'ampiezza: "dà la vita al mondo", a cuore ha la vita del mondo, e non di un piccolo orto chiuso. Guardiamoci dalle parole che odorano di ristrettezza e di indifferenza, hanno odore di morte e non di vita. Abbiamo bisogno di respirare altre parole, altre immagini, altri gesti. In questi giorni un'immagine ci ha commossi come una grazia. Siamo in un deserto tra Libia e Tunisia, peregrinazioni incontenibili a rischio di morte. Su mappe sconfinate di sabbia ecco quasi un nulla, un puntino minuscolo, sperduto, un bambino di tre anni, senza un nome. A intravederlo, tra piaghe dolenti di fatica, un ragazzo diciottenne africano, lo vede, gli si fa compagno di viaggio. Non se lo staccherà di dosso sino all'approdo a un'isola.

E fu pane. Penso di non sconsacrare l'immagine - ma se mai di consacrarla - chiamando anche lui "pane disceso dal cielo". Per la vita del mondo.

 

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