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TESTO Considerare il perdono

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/09/2023)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

L'insegnamento parabolico di Gesù, del quale si ha un preambolo anche nella Prima Lettura del libro del Siracide, si mostra di facile comprensione: davanti a Dio l'uomo è come un debitore insolvente che non potrebbe mai pagare il suo debito se Dio non gli avesse concesso il suo perdono e la sua misericordia, specialmente nel sacrificio del suo Figlio Gesù sulla croce. Oltre ai peccati attuali che commettiamo tutti i giorni, alle strutture sociali di peccato, ai contesti peccaminosi in cui ci troviamo a barcamenarci, siamo talmente intrisi di imperfezioni e di difetti che con le nostre sole forze non riusciremmo a guadagnare la salvezza. Il debito di diecimila talenti di cui al servo della parabola odierna potrebbe equivalere al debito pubblico di uno Stato, a una cifra vertiginosa impossibile ad essere estinta; tale è la condizione dell'uomo peccatore davanti a Dio. Di un debitore assolutamente impossibilitato a liberarsi del proprio fardello. Solo la misericordia, l'amore riconciliante di Dio nello specifico della croce di Cristo hanno potuto riscattarci e metterci in condizioni di degnità di fronte a Dio e se adesso possiamo aspirare anche al paradiso e alla vita eterna ciò si deve certamente alle nostre buone opere (indispensabili) ma soprattutto al fatto che Dio ci ha riconciliati a sé mediante Cristo (2Cor 5, 18).

Ne consegue che da parte nostra non possiamo omettere di perdonare chiunque ci abbia rivolto un torto o una cattiveria, non importa quanto grande essa sia. Qualsiasi mancanza altri commettano nei nostri confronti non è paragonabile a quelle di cui noi siamo fautori verso Dio. Il nostro rapporto con il fratello che ci ha fatto qualsiasi torto è quella di creditori di un debito corrispondente a cento denari, una cifra irrisoria che si potrebbe corrispondere in qualsiasi momento e che in qualsiasi momento non ci è impossibile abbonare a chi ha debiti nei nostri confronti. Perdonare al prossimo è quindi di per sé fattibile, possibile e anche irrinunciabile, considerando come a nostra volta siamo stati resi oggetto di amore e di perdono. Se Dio ci ha condonato un debito irrilevanti, anche noi dobbiamo estinguere al prossimo un debito che è sempre insignificante.

Tutto questo è fuor di dubbio, anche se consideriamo il perdono estremo che Gesù chiese al Padre sulla croce per i suoi carnefici: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno.” Tante volte coloro che ci offendono e che ci rivolgono dei torto sono mossi da ignoranza o da mancata formazione, o altrimenti non dispongono delle nostre stesse prerogative di maturità e andrebbero compatiti se non addirittura compresi. Chi ci fa un torto spesso vive il dramma di un bisogno o di una necessità, è affetto da miserie o da lacune inconsapevoli, da debolezze proprie della sua meschinità. Andrebbe compatito piuttosto che vilipeso. L'uomo di fede non può che accettare questo assunto in relazione al suo personale rapporto con Dio e nell'esperienza propria della divina misericordia.

Ma concretamente, messe da parte le nostre convinzioni religiose, è possibile perdonare? E' davvero concepibile non mostrare risentimento o avversione verso coloro che hanno ucciso i nostri figli, che hanno barbaramente massacrato i nostri genitori? Possibile non aver risentimento, da figli, verso quei genitori che hanno sempre abusato di noi, umiliandoci, vessandosi e maltrattandoci?

In effetti è molto difficile e in tantissimi casi anche improponibile. Il perdono è anche disponibilità a cedere e ad arrendersi agli altri, accettazione dell'altro così come ci si presenta, umiliazione di se stessi. Perdonare vuol dire spesso usare ingenuità, passività e immotivata sottomissione davanti a coloro che vorrebbero calpestarci e che in tal caso vi riescono sempre. Comporta non essere considerati all'altezza degli uomini veri.

Difficile poter trovare tali disposizioni in tutti coloro che hanno ricevuto torti gravissimi e pesanti cattiverie.

Eppure la proposta di una riconciliazione con i nostri nemici deve pur averlo un vantaggio, dal momento che è stata ribadita più volte e non solamente in ambito cristiano. Il fatto stesso che si parli di perdono e di amore per i nemici giustifica che tali risorse comportino un vantaggio oltre che un sacrificio disumano.

Occorre del resto trovare una via di conciliazione fra il perdono e la giustizia, la dimenticanza del torto ricevuto e la prudenza che si dovrà adottare in futuro; l'estinzione del rancore e dell'animosità con la diplomazia e la circospezione che di fatto si dovrà pur usare nei confronti di chi ci ha ferito. Concedere il perdono in effetti non è sinonimo di ingenuità o di irrealtà. Forse poco si considerano i benefici del perdono in rapporto agli svantaggi dell'odio e del rancore.

Buddah diceva: “Perdona i tuoi nemici. Non perché loro meritino il tuo perdono, ma perché tu meriti la pace”; ricorrente è la famosa locuzione “la migliore vendetta è il perdono-“ e di fatto è vero che il rancore e l'inimicizia, fin quando non trovano la loro via di sfogo, apportano sempre disordini interiori e personali dissapori. Il rancore e il desiderio di vendetta suscitano sempre tensione, rabbia che consumano e danneggiano. danneggiamento interiore, e la turbativa di questi effetti produce anche instabilità nei rapporti con gli altri. La vendetta è poi davvero garanzia di sollievo? Non potrebbe piuttosto essere fautrice di una soddisfazione solamente temporanea?

San Francesco di Paola affermava che chi non è capace di perdono “invano sta nel monastero, sebbene non ne vanga espulso” e che il ricordo delle offese subite è “complemento di furore, riserva di peccato, odio della giustizia, freccia arrugginita, veleno dell'anima, dispersione delle virtù, verme della mente, distrazione dalla preghiera...” poiché comporta sempre che veniamo a mancare di esternare il meglio di noi stessi manifestando solo il marcio che abbiamo dentro e vanificando anche l'eventuale bene che possiamo operare. Il rancore e il ricordo dell'offesa ricevuta avvelenano e tolgono la pace e la serenità; la vendetta opprime interiormente, inducendoci a misconoscere le virtù e l'obiettività del bene.

Perdonare è invece scrollarsi di dosso i dolori del passato e guardare avanti con fiducia e serenità. Accresce la fiducia in se stessi e l'autostima poiché si è consapevoli in tal caso della nostra reale superiorità nei confronti degli altri. Tralasciare le offese subite libera dall'ansia e dall'apprensione e distoglie da tutti quei pensieri in negativo che nel rancore ci opprimerebbero senza tregua.

Tutti i benefici vissuti in prima persona da numerosi Santi e dallo stesso Signore Gesù Cristo.

 

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