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TESTO Amore e salvezza anche per cani e cagnolini

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/08/2023)

Vangelo: Mt 15,21-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». 24Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». 25Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Atteggiamento ambiguo e preoccupante quello di Gesù quando tratta con questa donna che gli si avvicina per chiedere una delle tante grazie miracolose che sono soliti chiedergli tante altre persone. La donna lamenta che la figlia è ossessionata da uno spirito maligno e lo scongiura di aiutarla; Gesù non le rivolge attenzione alcuna; anche i suoi discepoli gli chiedono di esaudirla, almeno perché la smetta di importunarli. E invece Gesù mostra una refrattarietà insolita, giustificando questa con il pretesto di “essere stato mandato alle pecore perdute della casa di Israele” e di non potersi occupare di altri.

La domanda pertinente è: “Chi è la donna con cui Gesù sta conversando?”

Si tratta di una donna pagana, di nazionalità Cananea, del tutto avulsa dal comune sentire della fede nell'unico Dio d'Israele. La sua regione si era mostrata in precedenza distaccata e lontana dalla vera fede del Dio d'Israele e questa povera signora era probabilmente un riflesso di questa ostinata refrattarietà. Gesù le manca di considerazione non perché sia una bisognosa di aiuto, ma perché rappresenta una cultura e una società che si era mostrata avversa e ostile al dono della misericordia e della salvezza. I Cananei, in quanto pagani, venivano del resto considerati dei “cani”, ossia dei volgari miscredenti e anche Paolo metterà in guardia i suoi discepoli di Filippi da codesti personaggi impropri: “Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai!”(Fil 3, 2). Ecco il significato dell'espressione cruda e diretta di Gesù: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini.” Gesù, come del resto aveva detto in un'altra similitudine, non intende sprecare il dono prezioso della vita e della salvezza divina a coloro che ne faranno spreco e dissipamento; scredita categoricamente di dover perdere tempo prezioso con coloro che non vogliono ascoltare, considerare e soprattutto rendere lode a Dio per la sua rivelazione e per i suoi prodigi. Sarebbe come dare perle ai porci (Mt 7, 6. 12 - 14).

La salvezza è data a tutti, ma di fronte ad essa occorre anche essere disposti, accoglienti e consapevoli. Il dono di Dio va accolto appunto come dono, nella prospettiva della riconoscenza che dev'essere pari dalla gratuità del suo fautore.

Sebbene Cananea, questa donna dimostra tuttavia molta più apertura e disposizione di cuore rispetto a tanti presunti “giusti” o “fedeli” che magari esaltano se stessi con ipocrisia e vanagloria. Riconosce infatti che “anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni.” I “padroni” in questo caso sono i fedeli, i credenti israeliti che accolgono la Parola di Dio in abbondanza e con serietà; i cagnolini sono i refrattari, gli ostinati a non credere e a non aderire, appunto i famosi “cani” miscredenti ai quali tuttavia la Parola viene ugualmente rivolta in abbondanza non senza la sua efficacia di fondo. Essi anche se inconsapevolmente avvertono la necessità della Parola stessa e della salvezza, e forse senza saperlo vi aderiscono. La Parola di Dio in Gesù Cristo suo Figlio è cioè efficace in tutti i casi, apporta sempre la sua novità ed edifica ugualmente; in un modo o nell'altro raggiunge sempre il cuore dell'uomo. Quella di questa donna è quindi una professione di fede, paragonabile a quella del centurione il cui servo giace in casa soffrendo terribilmente, ma nonostante il suo paganesimo ritiene che Gesù, anche con una sola parola, può ottenere ogni cosa (Mt 8, 5 - 11). Nella convinzione di questa povera donna vi è la certezza di Gesù vero Figlio di Dio a cui nulla è impossibile, ma latore di una salvezza che si estende a tutti i popoli e che non conosce limiti né confini, anche se l'uomo di questi limiti va alla continua ricerca, delimitando con il metro della sua arroganza e della sua presunzione il rifiuto dell'amore e della misericordia. L'amore di Dio supera il peccato e il distacco presuntuoso dell'uomo, non importa a quale nazione o etnia questi appartenga.

Se ci sono intere Nazioni che recalcitrano in fatto di fede e di salvezza, ci sono singoli soggetti che ne fanno parte mostrando al contrario una fede coerente, disinvolta ed edificante, che è di monito perfino a coloro che si reputano credenti stanziali e radicati. Dio, che per intercessione di Abramo risparmiò l'intera città di Sodoma peccatrice per riguardo a dieci persone giuste che vi abitavano (Gen 18, 26 - 32) non può non considerare la fede di una sola povera donna che rende lode a Dio e al suo Figlio Gesù con parole semplici ma ricche di sensibilità e di grande carica umana. Come pure il Signore non può non considerare come esaltante e degno di riconoscenza qualsiasi atto di amore e di carità autentica, anche proveniente da luoghi differenti dai nostri. Ogni atto di fede e di bontà è sempre degno di predilezione e di attenzione da parte di Dio, anche quando provenga da luoghi differenti dai nostri. Lo Spirito peraltro soffia dove vuole e può suscitare carismi in ogni cuore ben disposto.

Nulla vieta quindi che esempi di fede e di speranza possano albergare anche negli animi apparentemente miscredenti.

La fede è il “fondamento delle cose che si sperano e la prova di quelle che non si vedono (Eb 11, 1) ed è la vera risorsa che conduce a godere dei benefici dell'amore di Dio al presente, che apporta a sua volta la salvezza oggi e quaggiù, ancor prima che domani nel mondo di lassù. Credere, sperare a amare sono virtù caratterizzanti la vita divina su questa terra, coefficienti di realizzazione e di pacificazione dell'uomo con se stesso e con gli altri e che predispongono all'eternità. Esse in fondo riguardano tutti gli uomini a prescindere dalle loro convinzioni religiose e soddisfano quella che Ratzinger chiama la sete inconsapevole di verità. Se non se ne mangia da padroni, nulla si oppone che se ne possa mangiare come cagnolini.

 

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