TESTO Il bello di voi è che non siete spenti
don Angelo Casati Sulla soglia
VI domenica dopo Pentecoste (Anno A) (09/07/2023)
Vangelo: Lc 6,20-31
20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male.
29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro».
Ci sono confessioni di fragilità. E inizio da una parola che suona ammonimento, soprattutto per me che parlo spesso di Dio, quasi lo vedessi o lo interpretassi. Voce di Dio per Mosè sul monte: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere". Da una cavità posso parlare di Dio e riconoscere di vederlo solo di spalle. Confessare fragilità.
Poi negli occhi mi rimane quell'andare e venire di Mosè con tavole di pietra, dalla cima ai piedi del monte e viceversa, mi rimane la storia di quelle tavole: "Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano". Dunque le tavole di Mosè non erano le prime. Le prime due tavole le aveva ridotte in frantumi lui, alla vista di un popolo che già le aveva frantumate nel cuore ancor prima di leggerne la scrittura. Le prime venivano da Dio: "Tavole di pietra, scritte dal dito di Dio".
Spesso mi sono chiesto con che cuore Mosè risalisse il monte dopo che, tra la prima e la seconda ascensione, era accaduto quello che era accaduto. Cioè una sostituzione. Al popolo, impaziente per il ritardo di Mosè sul monte, Aronne aveva ceduto dicendo: "Togliete i pendenti d'oro che hanno agli orecchi le vostre mogli, i vostri figli e le vostre figlie e portateli a me". Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora dissero: "Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto!"".
E' un dettaglio, ma mi fa pensare questa spogliazione: quegli ornamenti portati lungo le piste di un deserto non erano alla fin fine un segno di fierezza, di nobiltà? Spogliazione. Dio sostituito. Eppure Dio rinnova l'alleanza; starei per dire che la ribellione diventa un'occasione per noi, per vedere fin dove arriva Dio: arriva ad accogliere anche la nostra fragilità, a perdonare, a ripristinare le tavole di pietra, ridotte in frantumi dai nostri vaneggiamenti. A proposito di questa sostituzione - Dio/vitello d'oro - vorrei citare un commento suggestivo di Mons. Gianantonio Borgonovo, Arciprete del Duomo ed esegeta raffinatissimo. Leggiamo, tenendo presenti negli occhi i nostri idoli vuoti, quelli dei nostri giorni. Scrive: "Una sostituzione illusoria e vana del vero Dio che si manifesta con parole di vita, con un idolo muto, che non parla e non ascolta.
La rinuncia ad avere un Dio che apre la strada al suo popolo per mettersi dietro a una statua immobile che ha bisogno di essere portata a spalle, perché possa camminare alla testa del popolo. L'idolo è muto, Dio parla; l'idolo è immobile, Dio cammina alla guida del suo popolo; l'idolo è inutile, Dio ama. L'esperienza d'Israele è in realtà l'esperienza di sempre e di ciascuno, quando invano si tenta di costruirsi una falsa libertà (...). Israele, liberato dall'Egitto, aveva bisogno di sperimentare una liberazione ancora più radicale, quella dall'idolatria". Alcuni testi del Talmud hanno questa affascinante versione: "Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, libertà sulle tavole".
Una fragilità rialzata a libertà. E vengo al brano di Luca. Oggi vorrei sfiorare il testo nel suo insieme per aprire, se possibile una suggestione. La suggestione nasce dal contesto delle parole di Gesù, che, prese così, sembrerebbero venire da un tempo qualunque, da un luogo qualunque e non è così. Vorrei invitarvi a pensarle dove e quando. E chi aveva negli occhi Gesù. Per me cambiano di colore. Gesù era stato tutta notte a pregare sul monte e sul monte aveva pure scelto i Dodici. Scende e siamo alle falde del monte. Per Matteo le beatitudini sono dal monte; per Luca dalla pianura. Ascoltiamo il racconto: "Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante.
C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: "Beati voi...". Li guardava negli occhi mentre parlava: gran folla di discepoli, e moltitudini venute da ogni dove, anche da oltre i confini religiosi, e malati nel corpo e nella psiche e quel desiderio di toccarlo!
Diceva: "Beati voi", voi, e li guardava. Le sue parole in loro risuonavano non certo come invito a rassegnarsi alla miseria, alla sofferenza, alla prevaricazione. Erano parole di uno che in loro trovava una dignità, un'anima, una resistenza, una fiducia che non trovava nei ricchi e nei sazi, depredati nell'anima. Si riconosceva in loro. Usava il futuro, quasi a dire: "Non spegnetevi, non cedete a chi vi dice che non avete un futuro. Lottate per un rinascimento, c'è un futuro. Il bello di voi è che, pur assediati da problemi inimmaginabili, non siete spenti. Siete beati per questo. E con loro poteva osare parole paradossali, osare il paradosso di Dio. Poteva forse osarlo con i sazi e i pieni, loro che calcolano anche l'aria e ai pensieri non ne danno?
A coloro che ascoltavano, sì, poteva ricordare il Padre che fa piovere sui giusti e sui malvagi e parlare di amare i nemici, di perdonare, di offrire un'altra guancia, cioè un altro modo di rispondere, un'altra visione della vita, una nuova edizione. La gente ascoltava. Erano venuti per toccare il suo corpo, ora sembrava loro di toccare l'anima di quel profeta di Nazaret. C'era energia nelle sue parole.
E noi questa mattina l'abbiamo toccata.