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TESTO Sapientemente ignoranti

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/07/2023)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Si moltiplicano in questi giorni, sui social, fotografie e video di ragazze e ragazzi neomaturati, che terminato l'esame orale di maturità festeggiano in maniera goliardica - peraltro, senza ancora conoscere il risultato della prova - il raggiunto traguardo scolastico. A volte lo fanno in modi così plateali (e anche un po' sconsiderati...) che pare che abbiano scalato l'Everest in solitaria, d'inverno, senza bombole d'ossigeno...: sì, certo, per alcuni alunni “esemplari” aver terminato le scuole superiori è una vera e propria impresa, che spesso ha richiesto ben più dei cinque anni canonici... ad ogni modo, anche nel migliore dei casi, si è raggiunto un obiettivo importantissimo e non semplice da ottenere, ma è pur sempre “uno” degli obiettivi della vita, e nemmeno il più importante, e comunque dovrebbe da tutti essere vissuto con quella semplicità e quella umiltà che contraddistingue i veri sapienti e i veri saggi, ovvero la consapevolezza di aver approfondito la propria cultura e le proprie conoscenze senza per questo mostrarsi come se avessero chissà quale saggezza interiore rispetto ad altri loro coetanei che la fortuna di studiare non l'hanno avuta o non hanno potuto sfruttarla appieno.

Perché, se un titolo di studio rilasciato attraverso un pezzo di carta bastasse a renderci maestri di sapienza e di saggezza, il mondo vivrebbe in pace e in armonia lungo tutti i secoli della sua storia!

Ma purtroppo, non è così... E questo perché esiste una saggezza che non è data ai sapienti e ai dotti nel senso umano del termine, ossia ai letterati, ma “ai piccoli”. Ed è la saggezza del Vangelo, quella che non viene dalle profondità del pensiero umano, ma che è “rivelata”, ossia offerta gratuitamente, per grazia, ai “piccoli”.

Chi sono i “piccoli”, per il Vangelo? A volte questo termine viene utilizzato per i “piccoli” di età, per i bambini, verso i quali Gesù aveva una grande predilezione. Ma nella stragrande maggioranza dei casi - come anche nel Vangelo di oggi - i “piccoli” sono coloro che di fronte al mondo non possono vantare una “grandezza” economica, politica, sociale e culturale, ma agli occhi di Dio contano più di tutti i dotti e i sapienti del mondo per la loro umiltà di cuore, perché questa umiltà di cuore l'hanno imparata dal Maestro, profetizzato “umile” già dal profeta Zaccaria, come abbiamo ascoltato nella prima lettura. L'umiltà del cuore è quella di chi sa che ciò che possiede e ciò che è, non è frutto delle proprie mani, della propria intelligenza e delle proprie capacità, ma è un dono che ci è stato affidato, messo nelle nostre mani, perché ci adoperiamo a farlo crescere, fruttificare, e mettere a disposizione degli altri. Le cose che sappiamo e che abbiamo imparato dalla vita - non solo dagli studi fatti ma anche e soprattutto dalle esperienze di vita - non possono essere tenute per noi come se fossero di nostra proprietà, né - ancor peggio - possono essere utilizzate per avanzare pretese di superiorità nei confronti degli altri. Questo era ciò che accadeva al tempo di Gesù con le autorità religiose, le quali - forti della loro cultura, della loro preparazione e del loro prestigio politico e anche economico - utilizzavano la loro sapienza per opprimere il popolo con una serie di precetti e di norme che essi ritenevano di aver mutuato dalla Legge di Mosè, ma che in realtà erano leggi di uomini che opprimevano e diventavano un peso sulle spalle dei credenti, specialmente dei più piccoli, dei più semplici, degli illetterati.

Ecco perché Gesù parla di “un giogo dolce e un peso leggero”, riferendosi a ciò che i discepoli devono “imparare” da lui: perché gli insegnamenti di Gesù non hanno mai oppresso nessuno, non hanno mai fatto sentire inferiore nessuno, né tantomeno hanno creato classi sociali in base alla propria preparazione culturale.

Questo, allora, significa che un cristiano per dirsi tale deve essere illetterato, impreparato, analfabeta, privo di cultura? Assolutamente no: questo andrebbe in stridente contrasto con tutta quella cultura cristiana che, nei secoli, a partire dal Vangelo, i Padri della Chiesa, i teologi e gli studiosi, hanno faticosamente creato perché il messaggio cristiano entrasse a contatto con la cultura di ogni tempo e la ravvivasse da dentro, fino a trasformarla a partire sempre da una posizione di dialogo e di confronto.

Perché l'umiltà di cui parla il Vangelo, la piccolezza che Gesù rende un ideale del cristiano, non coincidono con l'ignoranza e la mancanza di studio: sono, piuttosto, la consapevolezza che tutto ciò che abbiamo è, come dicevamo, dono di Dio, e a lui va restituito dopo averlo donato a nostra volta agli altri.

Non mancheranno mai i saggi e i sapienti nella Chiesa: ma non saranno coloro che sbandiereranno un titolo di studio ai quattro venti, né coloro che attraverso la loro cultura faranno sentire gli altri “un nulla”, magari opprimendoli sotto il peso della propria preparazione. Perché un ignorante non arriverà mai a conosce l'enorme estensione della sua ignoranza: mentre un sapiente secondo la logica del Vangelo conosce perfettamente la piccolezza del suo sapere, perché l'ha depositata nelle mani di Dio.

 

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