TESTO Perché non dovremmo essere degni di lui?
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/07/2023)
Vangelo: Mt 10,37-42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «37Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
“Non son degno di te, non ti merito più”: così recitava una famosa canzone degli anni della mia fanciullezza. Era una canzone in cui l'innamorato si rendeva conto di aver perso l'amore della sua vita a causa di un tradimento: e nonostante la presa di coscienza della propria colpevolezza, si chiedeva chi, del resto, non avesse mai sbagliato anche solo una volta nella vita, quasi a voler giustificare il proprio errore.
Oggi a dirci “non sei degno di me” (tra l'altro per ben tre volte) è il Signore Gesù in persona: e non ce lo dice in seguito a un tradimento o a un errore commesso nei suoi confronti. Conoscendolo bene, infatti, di fronte alle nostre mancanze e ai nostri tradimenti, il Signore è sempre capace di chiudere un occhio, o forse anche entrambi, perché ci vuole talmente bene che è sempre disposto a darci una nuova opportunità, proprio perché “al mondo non esiste nessuno che non ha sbagliato una volta”. E allora, come mai nel vangelo Gesù dice ai suoi apostoli (e oggi a noi) che possiamo anche risultare “indegni” di lui e del suo amore? Cos'è che ci rende talmente cattivi da non essere ritenuti degni del suo amore? Gesù, più che tre “peccati” o errori, ci indica tre atteggiamenti che rendono il credente “indegno” di essere considerato suo discepolo: “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”. Non sono propriamente espressioni “leggerine”, quelle usate da Gesù: sembra quasi dirci che, se vogliamo essere suoi discepoli, dobbiamo voler bene a lui e solo a lui, tralasciando gli affetti umani della vita di ogni giorno. Oltre che sembrare egoista ed esclusivo, Gesù rischia anche di contraddire il suo stesso messaggio di amore: ci ha sempre invitati ad amare tutti, anche i nostri nemici, e ora ci chiede di non amare i nostri familiari quanto amiamo lui! Perché non possiamo amare allo stesso modo lui e le persone a noi care? Non può forse l'amore per i nostri cari essere il segno dell'amore che noi abbiamo per lui? Capisco se dicesse “Chi ama le ricchezze più di me, non è degno di me”: ma qui stiamo parlando di persone, e per di più di persone a cui dobbiamo la vita o ai quali abbiamo donato la vita! Come riuscire a comprendere anche solo minimamente ciò che ci dice il Signore?
Partiamo da un presupposto: il Signore non ci invita né a odiare né a disprezzare nessuno, tantomeno i nostri familiari, Anzi: ci ha sempre invitati e sempre ci inviterà ad amare tutti. Quello che ci vuol dire con queste espressioni forti, forse lo possiamo comprendere alla luce della terza di queste affermazioni, e anche di quelle successive: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”. Quando pensiamo alla nostra vita, pensiamo a tutto ciò che è nostro e ci appartiene: la vita stessa, la salute, gli affetti, ciò che con il nostro onesto lavoro abbiamo costruito, e se siamo credenti, pure Dio. Il quale, però, corre il rischio di diventare “una” delle tante cose belle della vita che ci è facile e gratificante amare. Tuttavia, amare Dio significa riconoscere che nulla, nella vita, è da anteporre a lui perché è lui la nostra Vita. È in lui che esistiamo, che ci muoviamo, che operiamo, che amiamo: senza uno dei nostri affetti e delle persone che amiamo noi possiamo comunque vivere, magari male, ma possiamo. Senza di lui, questo non ci è possibile. Allora, l'invito che Gesù ci fa è quello di seguirlo, per di più sulla strada che lui percorre, che è quella della croce: e nel seguire lui, nostra Vita, ci chiede di avere quella libertà interiore che spesso le persone e le cose belle e gratificanti della vita ci impediscono di avere.
Oggi il concetto di famiglia è molto cambiato rispetto ai tempi di Gesù: ma allora - e fino a non molto tempo fa - la famiglia, nella vita di una persona era tutto: per di più, con quella modalità gerarchica di vivere i rapporti familiari secondo cui ciò che il papà e la mamma dicevano era legge e non poteva essere discusso, e da parte dei genitori i figli erano considerati quasi loro proprietà, per cui ci si permetteva di scegliere le modalità della loro vita (anche le persone da sposare e quelle da scartare!) secondo quanto i genitori avevano in mente.
Forse - ripeto - questa mentalità l'abbiamo superata, grazie a Dio. Ma permangono alcuni atteggiamenti che - se a livello psicologico possono rasentare la patologia o quantomeno un certo disagio - da un punto di vista della vita di fede impediscono ai singoli di costruire la propria vita cercando ciò che “è bene per te” e per le persone che ami, e non ciò che ti fa stare tranquillo e sereno, magari con gli altri al tuo servizio.
Amare papà e mamma più che Dio autore della Vita significa, per tante persone, non aver mai tagliato il cordone ombelicale, e di conseguenza essere incapaci a costruirsi la propria vita, a cercare l'identità della propria vita, magari perché condizionati dal riferimento costante, assoluto, totalitario, alla propria famiglia di origine.
Amare i figli più che Dio autore della Vita significa, per alcuni genitori, non aver compreso che i figli sono un dono di Dio, non sono una nostra costruzione scientifica o biologica, tantomeno una nostra proprietà, per cui si dimostra l'amore nei loro confronti lasciandoli liberi di scegliere e di amare, anche a costo di commettere grossi sbagli, anche a costo di “sprecare la propria vita” come dice Gesù.
Dio vuole per sé la libertà del nostro cuore, perché solo un cuore libero è capace di scelte coerenti e incondizionate. E quando sei libero di cuore, vivi decisamente meglio: pensi di più, decidi di più, fai molte più esperienze; e soprattutto ami di più.