TESTO Un dono che non si chiede indietro
Santissima Trinità (Anno A) (04/06/2023)
Vangelo: Gv 3,16-18
«16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
Amo Dio abbastanza? Riesce il suo amore a colmare il vuoto, lenire il dolore, alimentare la gioia? Perché a volte sembra che il suo amore non mi scalfisca e che mi senta quasi obbligato ad amarlo per il fatto che Lui è Dio, il mio Creatore e Salvatore? Se guardo solo me stesso rischio di non trovare mai una soluzione a interrogativi così decisivi, perché il mio cuore è un abisso di sentimenti spesso contrastanti tra loro. Ho bisogno di guardare fuori di me. Lo faccio e subito si dispiega dinanzi agli occhi la ‘forma e misura' del suo amore, la croce. Giovanni in questo cap. 3 ce la presenta sospesa tra terra e cielo, nella zona in cui la vita del Figlio si rivela come vita che incarna e allo stesso tempo presenta al Padre il fallimento umano. Per l'evangelista, Gesù innalzato è in quel preciso istante il Cristo glorificato dal Padre perché col dono della sua vita è stato capace di trasformare una storia di morte in storia d'amore.
La croce risponde alla necessità del Padre che vuole che gli uomini siano salvati per mezzo di essa; allo stesso tempo interpella sul versante umano la necessità della fede nel Figlio sacrificato affinché l'uomo acceda alla salvezza. «Chiunque crede» riceverà «la vita eterna», sia che abbia scelto Cristo fin dall'inizio, sia che ci sia arrivato quasi per ripiego, dopo aver cercato invano altrove, poiché l'amore di Dio non rinfaccia nulla e si concede generosamente a chi si volge ad esso anche al termine di tutti gli altri tentativi falliti. Il dono della vita eterna non consiste unicamente nell'esistenza ultraterrena, ma in una vita nell'Eterno, che ti rende trasparenza di Cristo. Quando incontriamo una persona totalmente immersa nell'amore trinitario, ce ne innamoriamo subito, percepiamo che non ci deluderà mai; ciò non significa caricare un essere umano fallibile di aspettative troppo alte, ma essere certi del suo contatto sempre vivo e fecondo con l'Origine. Anche a noi sta la scelta tra l'accontentarci di un amore che, se perde progressivamente contatto con la sorgente si inaridisce, e il sentirci collocati con Gesù sulla croce, là dove scaturisce l'amore incondizionato e rigenerante.
Chi con coraggio decide di stare dove l'amore prende vita dalla morte non subirà alcuna condanna da Dio; difatti dobbiamo sfatare il pregiudizio ancora serpeggiante di un Dio che castiga o che sta a distanza dall'uomo. Paradossalmente, potremmo affermare che anche l'inferno, che ci incute così tanta paura e rifiuto, è la manifestazione più alta dell'amore del Signore: Egli ci ama al punto da non obbligarci a fare qualcosa contro la nostra volontà, non ci costringe ad amarlo, ma ci lascia liberi. Dio, dunque, non condanna, ma ama; non giudica, ma dona. E ciò che dona non se lo riprende. La salvezza è data a tutti, sempre e in ogni momento, ma solo chi decide di accettare il dono di Dio può viverla; chi non lo accoglie si costruisce da solo la condanna, perché si autoesclude dal suo amore.
Abbiamo dunque bisogno di rinascere nell'amore trinitario, di sperimentare la gioia di tale relazione come il risveglio da una notte da incubo: è questa l'esperienza della salvezza, ossia la certezza che il male non è né l'ultima né l'autentica verità. Così come Nicodemo riceve da Gesù la rivelazione di tale amore salvifico probabilmente in quanto maestro in Israele, e quindi rappresentante del popolo dell'alleanza, oggi siamo noi, discepoli di Cristo, il nuovo popolo depositario della sua verità. Siamo allora chiamati ad annunciare al mondo il vero volto di Dio, appassionato dell'uomo e della sua piena realizzazione nell'amore.
Per far questo non solo il Padre ci ha dato suo Figlio, ma ce lo ha lasciato attraverso il dono dello Spirito, perché si prolunghi l'opera di Gesù nel mondo, quale dono fatto per sempre all'umanità, che dall'incarnazione di Cristo non è più la stessa, avendo ricevuto al suo interno un Verbo di salvezza. La salvezza non va dunque cercata fuori, ma è una Parola che risuona nel cuore stesso dell'umanità: ‘restiamo umani', l'adagio in voga nel nostro tempo, è davvero l'unico modo per entrare in una qualità di vita pienamente conformata a Gesù. Quando doni all'altro qualcosa che appartiene solo a te, significa che gli stai consegnando la vita; se poi il dono è senza riserve, come il Padre dona il Figlio, sperimenti una libertà e una gioia purissime.
Credi a tutto questo? Credere significa appassionarsi alla logica del dono, rinunciando ad ogni possesso. Il Padre non aveva altri figli, solo l'Unigenito, e ce lo ha dato. Non chiediamo indietro l'amore donato!