TESTO Che Babele!
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
Pentecoste (Anno A) - Messa del Giorno (28/05/2023)
Vangelo: Gv 20,19-23
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
L'umanità si è sempre sentita forte e numerosa, a tratti invincibile, anche nei confronti di una natura che ha sempre pensato di poter dominare a proprio piacimento. Poi arrivano le catastrofi naturali, e tutta questa “forza” inizia a vacillare. E non è questione solamente di ciò che sta accadendo in questi nostri giorni o in questi anni: da che mondo è mondo, la natura si è ribellata agli abusi dell'umanità, fin dai tempi del Diluvio Universale. Reduce proprio da quell'esperienza, l'umanità ha tratto un insegnamento molto positivo: ha da subito desiderato sentirsi una sola cosa, ha voluto evitare di “disperdersi su tutta la terra” perché ha intuito che l'unione fa la forza. E così, nasce una nuova esperienza, questa volta non decisa dagli eventi della natura, ma dalla consapevolezza di essere tornati a sentirsi una “potenza”; gli uomini volevano “farsi un nome”, e iniziano la costruzione di quella città e di quella torre che poi verrà chiamata “Babele”, della quale ci ha parlato una delle letture di questa solennità di Pentecoste. “Farsi un nome” costruendo una città e una torre “la cui cima toccasse il cielo”, voleva dire contare qualcosa in faccia a un Dio che, beatamente seduto lassù nei cieli, si divertiva a dettare i ritmi della natura e a riempire di obblighi e di leggi quei poveri mortali che, a poco a poco, rischiavano di non sentirsi più come “un solo popolo”, e quindi di sfaldarsi e di disperdersi su tutta la faccia della terra.
E quello che avevano in mente di fare, non era certo uno scherzo. Dio stesso, che conosce bene l'uomo, sapeva che ce l'avrebbero potuta fare: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile”. E allora Dio, che - anche se noi spesso ce lo dimentichiamo - ci vuole bene e ce lo dimostra anche ricordandoci che siamo, sì, potenti, ma non “onni” potenti, scende a rimettere a posto le cose: gli uomini, tutti abitanti di un'unica città, radunati sotto un'unica torre, e appartenenti a un solo popolo, non si compresero più, perché Dio aveva confuso l'unica cosa che li rendeva veramente uniti, ovvero la lingua. E questa “confusione” perdura fino ad oggi: siamo tanti, siamo diversi, abbiamo costumi diversi, usanze diverse, stili di vita diversi, lingue diverse, mentalità diverse, fedi diverse, abitudini alimentari diverse... è davvero difficile andare d'accordo! Se poi - pur essendo diversi - ci si trova a vivere insieme, sullo stesso fazzoletto di terra, le differenze diventano tremende, e addirittura pericolose, violente, in alcuni casi assassine... Meglio, allora, difenderci da questa nuova “Babele”, e che si torni ognuno a parlare la propria lingua, nel proprio territorio, con i propri usi e costumi, mantenendo alla larga chi cerca di invadere quel poco che, con il sudore, ci siamo conquistati! È tutto logico, di quella logica del “padroni a casa nostra”, che è una logica giusta e perfettamente umana. Ma a quanto pare, non è la logica di Dio...
Il quale, un giorno, anzi, la sera di un giorno di festa, “mentre il giorno stava per compiersi” (come sempre, Dio arriva all'improvviso, e quando tutto sembra ormai giunto alla fine) decide di riprendere in mano il progetto di costruire un'umanità unita nella diversità, e getta sulla terra “un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso” e dove questo vento arriva, provoca lo stesso caos di tanti anni prima, fa “parlare tutti quanti in altre lingue”. Ma con l'effetto completamente opposto: ciò che a Babele - per via delle molte lingue - fu causa di divisione all'interno di un'umanità unità nella sua pretesa di onnipotenza, a Gerusalemme, la sera di Pentecoste, diventa motivo di unità all'interno di un'umanità divisa da secoli di intolleranza e di chiusura.
Ecco il paradosso di Dio: ciò che l'uomo vuole rendere una sola cosa per sentirsi onnipotente e avversario di Dio, Dio lo divide per creare unità intorno a lui. E per di più, lo fa attraverso un gruppo di Galilei, uomini di quella regione da cui difficilmente “potrà mai venire qualcosa di buono”: rozzi pescatori, esattori del fisco, politici eversivi, forse anche qualche terrorista... questo erano, quel gruppo di Galilei.
È proprio il caso di dire che Dio scrive dritto sulle righe storte della nostra storia. Quando noi pensiamo che la diversità sia segno di frammentazione e di debolezza, Dio manda il suo Spirito, e fa dell'umanità “un solo corpo”. Quando noi, cristiani impegnati, pensiamo che mettere insieme molti “carismi”, molti “ministeri”, molte “operazioni” rappresenti una perdita di tempo nell'organizzare attività a livello parrocchiale e pastorale in generale, e che faremmo più alla svelta ad arrangiarci “tra di noi”, egli ci fa capire che il confronto è l'unica via, e la diversità è il luogo in cui si manifesta lui stesso, che è “un solo Spirito”, “un solo Signore”, “un solo Dio”. Quando lo Spirito soffia sulla Chiesa, anche se in apparenza sembra che venga a scompigliare le cose, così come un “vento che si abbatte gagliardo” butta in giro di tutto creando caos, in realtà dirada nuvole e nebbia, e porta freschezza, porta novità, porta voglia di vivere, porta voglia di fare, ma soprattutto porta la pace.
“La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana”, Gesù, entrando in quel luogo con le porte chiuse “per timore dei Giudei”, avrebbe potuto entrare e rimproverare i discepoli che non volevano credere all'annuncio della sua Resurrezione da parte delle donne. Invece, dona loro il suo Spirito, dà loro il potere di perdonare, li manda in missione, ma soprattutto - e per ben due volte - dice loro: “Pace a voi”.
Certo, lo Spirito - proprio come un vento fastidioso - non ti lascerà in pace, ma di sicuro ti dona la pace. Come un cuore innamorato che batte forte: non lascia in pace il corpo, anzi, lo mette in movimento, lo agita, ma proprio per questo gli dona vita.
Che Dio ci liberi da una fede fatta di certezze statiche e acquisite, da una pastorale che, come punto di riferimento, ha quello del “ci arrangiamo tra di noi” perché “abbiamo sempre fatto così”; e che, pur balbettanti, insicuri e pieni di difetti come quel gruppo di uomini della Galilea, bruci le nostre teste dure ancora una volta, come allora, con quelle “lingue come di fuoco”, e ci sbatta per strada “a parlare, nella diversità delle lingue, delle grandi opere di Dio”.