TESTO Non essere lasciati soli
don Angelo Casati Sulla soglia
VI domenica T. Pasqua (Anno A) (14/05/2023)
Vangelo: Gv 14,25-29
«25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Il nostro brano di vangelo inizia - accade spesso - lasciando interrogativi: ”In quel tempo Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Vi ho detto queste cose...”. “In quel tempo”: che tempo era? “Queste cose”: e che cosa aveva detto Gesù? E' terminata la cena, l'ultima, e Giuda è uscito, Gesù apre il cuore, l'ultimo discorso. Ma “discorso” è parola troppo fredda; magari lo prepari prima un discorso, e vai per concatenazioni logiche. In queste parole senti battere il cuore. E, come quando ti batte il cuore, è un andare e un venire e un ritornare, non c'è una linearità, se non quella del cuore, quella che sanno riconoscere coloro cui batte ancora il cuore. Lui parla, dice che se ne va, parla di posti che andrà a preparare, promette uno che starà al loro fianco. Lo dice per rasserenarli. Li vede turbati. Si ripete nel dire “Non siate turbati”.
Ma - diciamocelo - turbato è anche lui. Non fu libero da turbamenti nemmeno Gesù: lui, pochi giorni prima dell'ultima sua cena, riconobbe il suo turbamento in faccia a tutti, quando, sentendosi come un seme che di li a poco sarebbe caduto in terra, disse: “Ora la mia anima è turbata”. E non è forse vero che, subito dopo la cena, sarebbe stato preso da angoscia tra le ombre, quella notte pesanti, del giardino degli ulivi? Racconta Marco: “ Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura. Gesù disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”.Non vegliarono, lo lasciarono solo. Pregò il Padre e lo chiamò con nome di tenerezza; “Abbà”.
Una vita di fede non ci rende quindi esenti da turbamenti: noi non li attraversiamo da eroi, ma toccando la nostra fragilità. E dunque non accusarti di non avere fede quando ti senti scosso nel cuore. Direi di più, porta nel tuo cuore i ”turbati”. Se ne hai la grazia, non lasciarli soli. Come purtroppo accadde ai discepoli, che lasciarono solo il loro Maestro. Ecco, “non essere lasciati soli” è la grazia che può accadere nei giorni del turbamento. Questo promette Gesù ai discepoli nella cena, promette che non saranno soli e usa verbi al futuro e su quei verbi sembra mettere un sigillo, un sigillo di avveramento, il suo sigillo. Parla dello Spirito e lo chiama Paràclito: “Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome...”.
Il “Paràclito”: come dice la parola, uno che sta a fianco, uno che si erge a difesa. Lui insegnerà loro ogni cosa, lui ricorderà loro ciò che il Maestro ha detto. Il turbamento è abitato da una promessa. Anche il nostro. Ebbene potremmo rileggere la pagina degli Atti degli apostoli, che oggi ci è stata proposta, come un avveramento della promessa e della sorprendete forza dello Spirito. Pietro e Giovanni, dopo una notte in carcere, vengono convocati e messi sotto processo dai capi, dagli anziano dagli scribi dai sommi sacerdoti. Sorprendente la loro reazione: sorprende la loro franchezza, la loro capacità di resistere a persone dominanti. Argomentano, tengono testa, non si lasciano per nulla intimorire. I loro oppositori, allibiti! E' scritto: “Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù”.
Bellissima l'espressione, suona quasi come una definizione dei cristiani. Chi sono i cristiani? Sono quelli che sono stati con Gesù, quelli che hanno negli occhi Gesù. C'è un'altra bellissima definizione dei cristiani nei primi capitoli degli Atti degli apostoli: “quelli della via”, loro seguono una via, la via tracciata da Gesù. Non pensate che deve essere successo qualcosa quando in giro si sente dire: “Io? Gesù sì, ma la chiesa no”? Un offuscamento? Facciamo ritorno ai discepoli: Gesù li aveva preparati dicendo loro che li avrebbero portati in sinagoghe e tribunali, che non si preoccupassero di che cosa dire, lo Spirito avrebbe loro suggerito che cosa dire. Nel racconto degli Atti non sta forse accadendo la promessa? “Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: “Capi del popolo...”. Colmato di Spirito santo”.
Gente semplice e senza istruzione? E in azione lo Spirito. Gesù aveva detto loro: “Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Gente semplice, senza istruzione, ma con l'istruzione dello Spirito. Quante volte è capitato anche a noi di scoprire saggezza e creatività in chi non aveva titoli accademici o posizioni di prestigio. E quante volte in più potrebbe accadere se guardessimo la vita non dalla prime panche, ma dall'ultima panca, se dessimo nome di nobiltà a chi porta in sé, senza sbandieramenti, la nobiltà dello spirito, eco sicura del vangelo. Va onorata l'intelligenza dei semplici. La parola “intelligenza” allude al “leggere dentro”.
Il loro leggere dentro la vita e il loro parlare, un parlare senza contorsioni intellettualistiche che poi è dura impresa decifrare. Parole le loro che vanno dritto al cuore. Dicono l'essenziale. E' l'essenziale che ci fa vivere. A stupire è la franchezza dei primi discepoli; la semplicità, certo, ma anche la loro libertà, la non sudditanza di fronte ai poteri. Una libertà che dà loro la forza di raccontare ciò in cui credono, di dire ciò che pensano, dando ragione della speranza che è in loro. Liberi. Non ci si può chiudere nelle tombe del passato se si crede in uno che è risorto. Ieri un prete, mio caro amico, si chiedeva, con un po' di amarezza, come si possa ancora oggi persistere ad andare nella morta gora di abitudini e tradizioni. Ebbene fede vera non è sottomissione cieca a un pensiero unico, ma essere risvegliati a un pensiero alto, che fa liberi.
Fede vera non è pretendere un'ubbidienza cieca, ma è capacità di dialogare, interrogando se stessi e gli altri. Fede vera non è educare alla ingenuità, ma contribuire alla maturità umana. Fede vera non è intristirsi e logorarsi in spazi asfittici, ma camminare nella nuova realtà dello Spirito. Fonte di libertà, di creatività, di sapienza del vivere.
Donaci il tuo Spirito, Signore, lo Spirito del Risorto, lo Spirito di uno che è uscito dalla tomba.