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TESTO Dolcezza + rispetto + retta coscienza = Speranza

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

VI Domenica di Pasqua (Anno A) (14/05/2023)

Vangelo: Gv 14,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

In queste domeniche del Tempo di Pasqua, che lentamente volge al suo compimento nel mistero dell'Ascensione e della Pentecoste, ci siamo concentrati principalmente - come del resto facciamo un po' durante tutte le domeniche dell'anno - sui Vangeli, prima quelli delle apparizioni di Gesù Risorto, poi quelli legati ai grandi discorsi del Buon Pastore e di Gesù Via, Verità e Vita. E abbiamo lasciato un po' da parte la lettura continuata della prima lettera di Pietro, che ci viene proposta come seconda lettura: un testo molto bello, ricco di spunti preziosi su come vivere “la vita nuova” da credenti. Destinatari, infatti, sono i cosiddetti “neofiti”, ovvero coloro che, con il battesimo, entravano a far parte della comunità dei credenti in Cristo. A noi la cosa può sembrare un po' fuori contesto, in quanti i nostri “neofiti” attualmente sono tutti compresi nei primi anni di vita: ma nella Chiesa nascente (anche oggi, per la verità, in maniera sempre crescente, in questa società nella quale la fede cristiana non è più un fenomeno sociale di massa) si battezzava in età adulta, dopo un percorso di preparazione che portava coloro che provenivano dal Giudaismo o dal mondo dei “gentili” (così erano detti i pagani) a rinascere a vita nuova nel battesimo durante la Veglia Pasquale, per significare ancora di più il legame tra la vita nuova del neofita e la resurrezione di Gesù. Dal battesimo ricevuto in età adulta scaturivano tutta un serie di comportamenti da attuare che dicessero in maniera esplicita la propria appartenenza a Cristo, in ambito spirituale, morale e sociale, come cristiani e come cittadini, abitanti del mondo.

La prima lettera di Pietro (scritta probabilmente a Roma in un ambiente vicino più all'apostolo Paolo che al Principe degli Apostoli) si occupa propriamente di dare queste indicazioni comportamentali, sia per la vita di fede che per la vita di tutti i giorni, in famiglia e nella società: e se teniamo conto del fatto che allora i cristiani erano veramente un piccolo gregge, sperduto in mezzo alla galassia di popoli e di religioni che componevano l'Impero Romano, non ci è difficile immaginare quanto fosse complesso, per i seguaci di Gesù, portare avanti il loro stile di vita e professare la loro fede in modo libero, sereno e privo di pregiudizi da parte degli altri. Ecco allora che all'interno della lettera troviamo spesso delle esortazioni alla perseveranza, a non lasciarsi andare, a tenere duro di fronte alle piccole e grandi persecuzioni della vita quotidiana: e credo che il brano che abbiamo ascoltato quest'oggi sia forse il più significativo tra quelli con caratteristiche esortative.

A partire, soprattutto, da una virtù che il catechismo ci ha fatto conoscere come una delle tre virtù teologali: la Speranza. Dice, infatti, il versetto iniziale del brano di oggi: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. In un contesto nel quale le persecuzioni e i contrasti allo stile di vita dei cristiani mettevano a dura prova la loro fede e la loro permanenza nella Chiesa, il modo migliore per resistere e per vivere bene, nonostante tutto, era quello di “rendere ragione della speranza” che albergava nei loro cuori. Ovvero, motivare il perché, nonostante tutto, i cristiani non perdessero la speranza che era possibile vivere bene anche in un mondo a loro ostile. E la motivazione, per i neobattezzati, era relativamente semplice: perché abbiamo Cristo nel cuore, e i valori annunciati nel suo Vangelo e resi evidenti dai segni da lui compiuti valgono infinitamente di più di tutti i tesori di questo mondo. Per questo, i cristiani di allora non perdevano la speranza e affrontavano il quotidiano combattimento della fede.

E i cristiani di oggi? E noi, credenti di oggi, così privilegiati rispetto ai primi cristiani da poter vivere e professare liberamente (almeno qui, nel nostro contesto) la nostra fede senza particolari persecuzioni, e rendendoci conto, nonostante tutto, di esserci lasciati sfuggire dalle mani quei valori legati alla nostra fede che ci sono stati tramandati dai nostri padri? Dov'è finita la speranza della quale siamo chiamati a rendere ragione? Sono convinto che oggi non abbiamo il problema di “come” rendere ragione di questa speranza che abbiamo nel cuore, bensì - ancor peggio - questa speranza nel cuore pare proprio che non ce l'abbiamo nemmeno più... Chi tra di noi è oggi preoccupato di trasmettere (a se stesso in primis e agli altri poi) la bellezza e la profondità dei valori cristiani come “speranza” per la nostra vita e per la vita del mondo? E non che il mondo e la nostra stessa vita non abbiano bisogno di speranza... tutt'altro! Che prospettiva di speranza possiamo avere, tra le nostre mani, per il futuro, se non siamo più capaci nemmeno di prevedere come sarà il tempo? Come possiamo, con le nostre solo forze, sperare in un futuro di pace per le nostre giovani generazioni, se a loro consegniamo un mondo usato, abusato, riciclato e incapace di rinnovarsi nelle sue fonti di energia? Che speranza c'è nel desiderio legittimo di due giovani che si amano di potersi costruire una famiglia, quanto questo desiderio viene continuamente frustrato da promesse politiche e sociali (ad ogni livello) che siamo solamente capaci di far tornare di attualità quando arriva il momento di organizzare convegni su famiglia e natalità, e una volta terminati i convegni... chi s'è visto, s'è visto?

Tutto questo - e chissà quante altre situazioni potremmo citare - è il segno evidente che di speranza c'è estremo bisogno proprio perché, di speranza, in questo mondo, ne abbiamo ben poca... E allora, le parole dell'apostolo Pietro acquistano una forza e un'attualità che non ci possono lasciare indifferenti, soprattutto quando ci danno delle indicazioni su come dobbiamo “rendere ragione della speranza che è in noi”: tutto questo, ci dice la lettura, “sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”.

Dolcezza, rispetto, retta coscienza: le uniche maniere per fare in modo che la speranza che abbiamo nei nostri cuori e che cerchiamo di infondere negli altri faccia trasparire una coerenza tra parole e azione di cui nessuno possa pensare male, mai. Non significa comportarsi sempre in maniera perfetta e impeccabile: significa avere dolcezza, rispetto, e retta coscienza in tutto ciò che facciamo.

Che concretamente significa, da cristiani, avere tanta pazienza e compassione verso tutti, rispettare tutti (anche e soprattutto quelli che non la pensano come noi), e questo ci porterà a fare ogni cosa con la retta coscienza di aver agito solo con finalità di bene.

Pensate quanta speranza potremmo donare al mondo se, nella vita di ogni giorno, ognuno di noi credenti in Cristo sapesse usare pazienza, compassione, rispetto e avere, così, la coscienza pulita...

 

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