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TESTO Trasfigurazione, fede e speranza

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

II Domenica di Quaresima (Anno A) (05/03/2023)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Fede e speranza sono racchiuse nelle letture bibliche di questa Domenica, come virtù che caratterizzano il tempo presente di purificazione e di rinnovamento che è la Quaresima. Esso ci invita innanzitutto a riconoscere la nostra dipendenza da Dio (Ratzinger), il primato che gli va concesso nella nostra vita, la necessità di doverci affidare a lui. Di conseguenza ci si prospetta come un itinerario di continua conversione a lui e di lotta contestuale contro il male e le subdole certezze. Dio ci chiama alla comunione con sé e la risposta è la conversione appunto come presa di coscienza della precarietà e dell'insufficienza del nostro stato e come itinerario progressivo di ritorno al Signore nella fuga dal peccato e dal riferimento esclusivo a noi stessi. Un processo quindi che inizia dall'umiltà, perché solo chi è umile e dimesso ammette le proprie incoerenze raffrontate all'amore di Dio; che seguita nella fede, cioè nella radicale volontà di adesione a Dio nella sequela di Gesù suo Verbo fatto carne; che si protrae e prende vigore nella speranza, ossia nella fiducia e nell'attesa che Dio stesso ci si manifesti per colmare le nostre attese e le nostre lacune. La risultante della conversione (penitenza) è la carità, palesata e manifesta nella concretezza del servizio e dell'amore verso il prossimo.

Oggi la figura di Abramo ci illustra le prerogative primariamente essenziali dell'umiltà e della fede.

Arameo errante, abbandona la sua terra all'età di75 anni sollecitato dal Signore a recarsi in un territorio a lui sconosciuto ed estraneo. Non sa esattamente la meta e l'obiettivo del suo viaggio, ma si mette in cammino senza retorica riconoscendo che solo in Dio potrà trovare la soluzione ai suoi dubbi e alle sue perplessità. Abramo umilmente si concentra nel Signore affidando tutto se stesso, crede nella sua parola e vive costantemente la comunione con il Signore, anche negli imprevisti e nelle difficoltà. La sua fede in Dio sfocerà poi nella carità e nell'accoglienza, quando rifocillerà tre visitatori sconosciuti che si riveleranno essere Dio stesso e i suoi angeli, per ottenere assieme alla moglie Sara la ricompensa di un figlio (Isacco) nonostante la loro tarda età (Gen 18). Sempre l'umiltà e la fede consentiranno ad Abramo di superare la dolorosa prova del sacrificio al Signore dello stesso figlio Isacco che Dio vuole immolato quale vittima sacrificale; mentre però la lama sta per lambire le carni esili del ragazzo, il Signore gli ferma la mano risparmiandogli quell'orrenda pena e rilevando che la sua fede in lui è stata davvero grande e indiscussa: come premio sarà capostipite di una lunghissima discendenza (Gen 22, 1 - 18) e tutt'oggi anche noi condividiamo con gli Ebrei il nostro comune padre nella fede, che è appunto Abramo.

Se Abramo ebbe risparmiata la vita del figlio Isacco, Dio Padre non risparmierà la vita al suo Figlio Gesù sulla croce. Questi vi si predisporrà con fede e senza esitazione, pronto a realizzare il progetto di salvezza del Padre a beneficio di tutta l'umanità. Prima dell'episodio di cui al brano di oggi Gesù aveva annunciato che con l'ingresso a Gerusalemme sarebbe stato condannato a morte; Pietro, mosso da amore filantropico e benevolo aveva tentato di distoglierlo dal cammino verso questo tragico evento e Gesù aveva ribattuto “Vade retro Satana”(Mt 16, 22 - 23). Sia pure sotto le sembianze di bene, il maligno tentava infatti di sviare il riscatto dai nostri peccati che Gesù avrebbe realizzato appunto nella morte estrema di croce. Adesso proprio Pietro, assieme a Giacomo e Giovanni (particolarmente prediletti come “figli del tuono” Mc 3, 17) vengono condotti da Gesù su un monte ad assistere a una visione straordinaria che convince Pietro del reale significato dell'autoconsegna di Gesù al patibolo: Colui che si avvia alla morte, risolutamente e senza condizioni, rendendosi debole e sottomesso anziché affermare la propria dignità divina, è il Dio Verbo che preesiste accanto al Padre e allo Spirito fin dall'inizio dei tempi e che a un certo punto ha deciso di farsi carne per porre la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1, 14). Dio che pur potendosi imporre in virtù della sua gloria indomita e indiscussa, preferisce espiare le nostre colpe rendendosi vittima immacolata, agnello del nostro riscatto.

La nube e il candore delle vesti sottendono allo stato di gloria perenne e di grandezza di cui è avvinto Gesù, la cui incarnazione era stata prefigurata da Mosè e da Elia, cioè dalla Legge e dai Profeti. Sono elementi che esprimono il pieno della divinità e soprattutto della gloria e della magnificenza per cui si differenzia dall'uomo e adesso sono espliciti di un Dio che non ha mai preso le distanze dall'uomo, ma facendosi uomo egli stesso e condividendo tutto con noi, si fa per noi in tutto e per tutto, sacrificandosi per il nostro riscatto. Alla morte di croce farà seguito la resurrezione e l'innalzamento del Figlio di Dio sul quale non avrà più potere la morte.

La trasfigurazione sul monte è quindi un invito a non eludere la tappa necessaria della croce e a non bandirla dalla nostra vita; piuttosto ad accoglierla come normale elemento di fortificazione e di consolidamento dei nostri obiettivi e a proposito della nostra conversione un incentivo ad abbracciarla per radicarci e restare saldi nella fede. E appunto Gesù trasfigurato ci dimostra ancora una volta il valore della fede, per la quale, radicati in Dio, sappiamo affrontare il passaggio dalla morte alla resurrezione come tappa irrinunciabile ma non impossibile, realizzando in noi un cambiamento, un rinnovamento che non può che apportare benefici oltre i sacrifici. Diceva Ratzinger in una sua omelia: “Nel Cristo trasfigurato si rivela molto di più ciò che è la fede: trasformazione, che nell'uomo avviene nel corso di tutta la vita. Dal punto di vista biologico la vita è una metamorfosi, una trasformazione perenne che si conclude con la morte. Vivere significa morire, significa metamorfosi verso la morte. Il racconto della trasfigurazione del Signore vi aggiunge qualcosa di nuovo: morire significa risorgere.”

L'evento straordinario del monte è però anche un monito a ravvivare la speranza, nella certezza che tutte le croci hanno come epilogo la gloria e il premio paragonabile a quello avuto da Abramo e e dallo stesso Cristo. Sperare significa aver fiducia, persistere e perseverare senza resa, guardando sempre avanti laddove siamo tentati di scoramento e di arrendevolezza. La speranza si poggia sulla fede (Moltmann) perché credere in Dio significa consolarci in lui, affidarci, non arrendersi nelle lotte contro l'avversario fautore di devianze e di tentazione, e attendere che sia Dio a far giustizia e che sia lui a intervenire risolutivamente sui nostri problemi, con soluzioni molto più appropriate delle nostre. Affinché la quaresima della nostra vita apporti per noi l'obiettivo gioioso della Pasqua.

 

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