TESTO Chiudere o riaprire i cieli
don Angelo Casati Sulla soglia
Battesimo del Signore (anno A) (08/01/2023)
Vangelo: Mt 3,13-17
15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
22e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Giorni di epifanie. L'altro ieri eravamo in una casa di Betlemme, con indugio di stella. Oggi siamo lungo le acque di un fiume, dove accade il battesimo di Gesù. Matteo racconta per scatti veloci: il ritorno dalla fuga in Egitto, la scelta di vivere a Nazaret, un lunghissimo silenzio... e poi la telecamera bruscamente dirotta e spia quanto sta accadendo lungo il fiume, il Giordano, indugia sull'aria.
Dico “sull'aria”, perché Il battesimo di Gesù non è in un tratto appartato di fiume. C'è folla dove Giovanni sta battezzando. E' scritto: “Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”.
Su quell'accorrere di tutti si staglia la voce di Giovanni. Le sue parole, anche le ultime prima dell'arrivo di Gesù, sono come di fuoco, fuoco per passione certo, ma fuoco. Erano ancora impigliate nell'aria quando, tra i tanti, ecco arrivare Gesù. Il Battista aveva appena preso di petto farisei e sadducei: “razza di vipere”, così li aveva chiamati. E poi eccolo evocare una scure alla radice dell'albero e un Messia, più forte. Forte come? Pure lui di fuoco: “Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile". E Matteo, senza un minimo di cesura, scrive: “Allora - allora, con quelle parole ancora nell''aria - allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui”.
L'aveva evocato battezzatore, viene a farsi battezzare; l'aveva evocato come uno che fa piazza pulita e brucia, viene come uno che annulla le distanze e si immerge con tutti. Allo sconcerto di Giovanni, per tanto capovolgimento. Gesù risponde dicendo che fare questo è fare la giustizia, è fare la volontà del Padre, è mettere in atto i suoi pensieri.
Poi sì, nel racconto, Matteo - e non solo lui - sembra dare spazio e indugiare su un momento oseremmo dire più intimo, di privatezza, di interiorità. Come se Gesù godesse, lui per il primo, di una manifestazione, di uno svelamento, di una epifania dall'alto, di una benedizione sulla sua scelta: di lasciare Nazaret, con prima sosta al Giordano. La convinzione che fosse arrivata l'ora di lasciare paese e casa, di dare inizio alla sua missione pubblica, di darle inizio da Giovanni al Giordano, gli era maturata dentro poco a poco, con una consapevolezza sempre più forte: era giunta l'ora. L'ora del Giordano, un fiume che evoca al cuore di ogni ebreo il passaggio verso un inizio, terra nuova, cieli nuovi. Ed era come se questa maturata consapevolezza avesse bisogno di un segno, di una benedizione, che gli si aprissero i cieli. Gli evangelisti con un racimolo minimo di parole sembrano evocare il momento dell'anima, all'uscire dalle acque, quando di Gesù, e solo di lui, scrivono: “Egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire su di lui”. Era manifestazione, era conferma, benedizione.
Prima l'epifania, uno svelamento, in Gesù. Poi l'epifania di Gesù per tutti noi: “Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento»”. L'epifania di un Messia che non dà inizio alla missione con una scure, ma condividendo le acque dei peccatori, condividendo la mia acqua, la tua acqua. Mi è venuto spontaneo pensare che per questo, per il segno della misericordia, sussultassero le acque del fiume. Ci tocca dunque reinterpretare il salmo che sembra invece inneggiare alla potenza:
“La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza”.
Le acque, al battesimo di Gesù, sussultarono per la misericordia. La misericordia di cui ho bisogno. Riprendo le parole del profeta, le sento mie: “Ritorno al Signore che avrà misericordia di me, al nostro Dio che largamente perdona”. Ritorno, le acque sussultano per la misericordia, cantano un passaggio, cantano un'ora che sa di inizio.
Ma ora vorrei ritornare all'immagine dei cieli che si aprono. Vi faccio ritorno, perché da un lato l'immagine suona come la sconfitta dei cieli chiusi, che hanno fomentato a lungo, nell'immaginario religioso, paure, terrori e tristezze; dall'altro l'immagine dei cieli che si schiudono ritorna frequentemente nella Bibbia, l'abbiamo lasciata da non molto nelle liturgie dell'avvento: “Se tu, Signore, squarciassi i cieli e scendessi!”. Ha squarciato i cieli, è disceso.
Chiudere i cieli, riaprire i cieli. Anni fa mi aveva molto colpito la riflessione di un mio caro amico, don Marco Campedelli su “chiudere i cieli e riaprire i cieli.” Noi con le nostre parole, con i nostri gesti, con la nostra vita possiamo chiudere i cieli o riaprirli.
Li chiudiamo quando il nostro sguardo indifferente, grigio, anaffettivo, induce l'altro a pensare di essere un buono a nulla, di non avere talenti, di essere uno sbagliato nella vita, di essere nulla. Può così accadere che l'altro a tal punto se ne convinca che si rassegni e muoia nella sua presunta impotenza. Abbiamo il potere triste di chiudere i cieli sugli altri e sulla terra. Per qualcuno sembra quasi una passione - passione triste - quella di gelare il terreno, anche i terreni dell'anima.
Nostra passione - la passione che ci mette in cuore la manifestazione di Gesù nelle acque del Giordano - è quella invece di riaprire i cieli: uno sguardo che apra e faccia respirare. Accade quando riconosco il respiro dell'altro, la sua luce e i suoi colori, la sua voce, il buono, il bello, il vero che lo abita; quando glielo racconto, quando recupero le sue attese smarrite, quando lo faccio avvertito dei germogli ancora nascosti, quando lo aiuto a parlare, a cantare, a dire il bene, a benedire, quando gli infondo fiducia.
“L'invito di oggi” scriveva il mio amico “è riaprire i cieli. Quando è stato chiuso il cielo su di me e quando io ho chiuso il cielo sugli altri? Ma anche: quando è stato aperto il cielo su di me e quando ho cercato di aprire il cielo su un altro?”.
E dunque riaprire i cieli, nel segno del battesimo del Signore.