TESTO La pace? È affare di tutti
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
Maria Santissima Madre di Dio (01/01/2023)
Vangelo: Lc 2,16-21
In quel tempo, [i pastori] 16andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
“Nessuno può salvarsi da solo”. Questo è il titolo del messaggio che Papa Francesco ha diramato per la 56ª Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace. Una giornata che si colloca in un panorama internazionale non particolarmente tranquillo, per le note vicende belliche che coinvolgo Russia e Ucraina e molte altre parti del mondo, soprattutto nel Medio Oriente.
Da cosa prende spunto il Papa per questo messaggio? Francesco parte da una considerazione tutto sommato piena di ottimismo e di speranza, ovvero la presa di coscienza che dopo tre anni il mondo sta iniziando con lentezza, anche se con un po' di apprensione mai del tutto sopita, a riprendere la propria marcia verso la normalità, a seguito della situazione generata dalla pandemia. Al di là delle effettive riprese a livello sanitario, sociale ed economico, certamente il mondo sta uscendo da una situazione che si è rivelata più drammatica del previsto, ma dalla quale ha potuto e può ancora imparare qualcosa, ovvero la riscoperta del concetto di solidarietà e di fraternità. Con molti esempi e attraverso moltissimi episodi ognuno di noi potrebbe raccontare - spesso perché sperimentato sulla propria pelle - come l'essere stati solidali nella sventura sia stata l'arma più potente, il vaccino più efficace per combattere il vero problema creato dalla diffusione del virus: l'isolamento e la solitudine. Molta gente, ancora oggi, ha paura a vivere momenti di socialità e di normalità in mezzo ad altre persone: e questo non perché - come pensano alcuni “intelligentoni” - sono persone fragili e insicure o perché si lasciano abbindolare dai mezzi di comunicazione sociale che stravolgono le coscienze, ma perché effettivamente la pandemia ha creato questo senso di incertezza e di insicurezza che ha fatto sentire tutti quanti un po' più soli di quanto già non lo fossimo. Il grosso del lavoro da fare viene adesso, iniziando a comprendere - come ci ricorda bene il Papa - che “nessuno può salvarsi da solo”. Nessuno può pensare di tirarsi fuori da questa situazione di isolamento e in molti casi anche di disperazione con le solo proprie forze. E soprattutto, nessuno può permettersi (da sempre, ma a maggior ragione da tre anni a questa parte) di pensare solo alla propria ripresa e alla propria rinascita, senza gettare uno sguardo sulle povertà e sulle miserie che ci circondano. Perché dove non c'è serenità, dove non c'è condivisione, dove non c'è uguaglianza sociale è assolutamente impossibile che si possa costruire la pace.
“Cosa, dunque, ci è chiesto di fare?”, si domanda Papa Francesco. Egli stesso cerca di rispondere a questa domanda con alcune indicazioni che possono diventare davvero molto pratiche per la nostra vita di ogni giorno, per divenire - a partire dal nostro piccolo - costruttori di pace.
“Anzitutto - dice - dobbiamo lasciarci cambiare il cuore dall'emergenza che abbiamo vissuto; permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l'ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune”.
Andando al sodo della questione, ciò vuol dire che non possiamo disinteressarci di tutto ciò che, nel mondo e nel nostro quotidiano, continua a mettere a dura prova la pacifica convivenza tra le persone:
ignorare ciò che avviene nel mondo spegnendo la televisione, chiudendo i giornali, ascoltando la radio solo quando trasmette la musica che piace a noi, connettendoci alla rete solo per “postare” sui social tutte le baggianate che facciamo durante il giorno perché tutti ne siano al corrente, significa comportarsi da struzzi che mettono la testa sotto la sabbia, convinti che non vedendo il problema, lo stesso passa e si risolve;
ignorare che esiste un problema di salute pubblica e gratuita accessibile a tutti in tempi ragionevoli, significa che abbiamo il privilegio (e anche le risorse) per fare tutto in forma accelerata e privata, e facendo così rendiamo la salute un diritto per soli ricchi;
non possiamo ignorare che il problema della migrazione dei popoli è molto più ampio della semplice accoglienza o respingimento dei barconi in mare, e che va ben oltre il problema di quale multa far pagare alle ONG che operano nel mar Mediterraneo. È assolutamente necessario capire e studiare le cause del fenomeno della migrazione, umanitaria o economica che essa sia, e che questo fenomeno trova una spiegazione anche e soprattutto nelle conseguenze del cambiamento climatico che sono sotto gli occhi di tutti, e possono da un momento all'altro, senza preavviso, essere vissute da tutti in ogni parte del mondo, perché il fango e le frane scendono ovunque, gli incendi scoppiano ovunque e la siccità colpisce ovunque.
E lamentarci perché non abbiamo acqua e poi, quando piove due giorni di fila, rimetterci a sprecarla in cose inutili perché “tant'e, ormai l'acqua è arrivata”, è quantomeno da irresponsabili, per usare un eufemismo. Lamentarci per le bollette esagerate, che siano di luce e di gas fa lo stesso (perché poi alla fine abbiamo visto che dipendono da un unico problema) e poi continuare ad accendere ogni tipo di luce e di illuminazione solo perché è Natale e ci vuole atmosfera, è una contraddizione, ma soprattutto dice una cosa molto chiara: “a me, di quello che avviene nel mondo, non importa nulla! Io i soldi li ho e li spendo!”.
Forse, invece, come ci ricorda papa Francesco, “dobbiamo spenderci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all'amore infinito e misericordioso di Dio, perché è l'unico modo con il quale poter costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace”.
E a proposito di pace, visto che oggi celebriamo per la cinquantaseiesima volta questa Giornata Mondiale, vorrei concludere con un omaggio ossequioso e profondamente riconoscente a papa Benedetto XVI, che proprio oggi ha raggiunto la pace eterna, nella Comunione dei Santi.
Nel suo ultimo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, il 1° gennaio 2013, scriveva - come lui solo sapeva fare -queste belle e profondissime parole: “La pace non è un sogno, non è un'utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all'edificazione di un mondo nuovo”.
Un invito a svolgere un compito mai finito, ma anche un'esortazione piena di speranza, come pieno di speranza e di apertura al futuro fu il gesto profetico che Benedetto compì con la rinuncia al papato e per il quale la Chiesa (anche quella parte di Chiesa che continua a non capirlo) gli sarà per sempre riconoscente.