TESTO Serenamente perseveranti
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/11/2022)
Vangelo: Lc 21,5-19
In quel tempo, 5mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Mentre pensavo alla riflessione di questa domenica, mi è venuto in mente un episodio di una ventina di anni fa, circa. Tornavo dalla Bolivia in vacanza dopo quasi due anni di assenza dall'Italia; e uno dei primi giorni che misi il naso fuori dalla porta di casa dopo aver assorbito la batosta del fuso orario e del cambio di clima, ebbi la necessità di recarmi per alcuni acquisti in uno dei nuovi “templi” della religione del consumismo, un grande centro commerciale di fronte alla cui magnificenza avrebbero sfigurato pure le “belle pietre” e i “doni votivi” che, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, ornavano il Tempio di Gerusalemme all'epoca di Gesù. Vi rimasi, passeggiando, per circa mezz'oretta: oltre a rimanere impressionato dalla quantità di persone che lo affollavano (peraltro, eravamo in un periodo di imminenti festività) cariche di borse e pacchetti, e saldamente aggrappate a straripanti carrelli della spesa difficilissimi da manovrare in linea retta, tanto erano ricolmi di ogni ben di Dio (cosa inimmaginabile in Sudamerica, ma che a ogni buon conto è difficile da vedere anche qui, oggi, per via della situazione economica che viviamo), ricordo che rimasi impressionato dai volti delle persone che incrociavo. A parte il fatto che mi sembravano tutti un po' “smortini” e quasi cadaverici (forse perché abituato a vedere meravigliosi visi olivastri e corpi non ossessionati dalle eccessive rotondità...), mi balzò all'occhio - e non ne feci mistero con alcuno, nei giorni successivi - l'estrema infelicità e a volte anche la marcata severità impressa su quei volti. Al punto che, tornando in auto, ebbi questa infelice espressione, rivolgendomi a chi accompagnava: “Com'è diventata brutta, la gente, qui in Italia!”. Ovviamente, chi mi ascoltò, mi guardò con un'espressione per nulla più gioiosa di quella da me vista su quei volti, e senza proferire parola avviò il motore dell'auto e mi riportò a casa... L'infelicità e la severità scolpita su quei volti mi diede molto a pensare: e temevo che di lì a poco avrei potuto anche io assimilare quella triste e grigia espressione del volto, come cantava anni fa Celentano, “già sapevano che saremmo ben presto anche noi diventati come loro, tutti grigi, come grattacieli con la faccia di cera”. Non nascondo che il desiderio più grande era quello di ritornare presto in quella martoriata e disperata terra del sud del mondo, nella quale i carrelli della spesa restavano desolatamente vuoti (anche perché quasi inesistenti...) e la gente non aveva, grazie a Dio, l'ossessione del corpo perfettamente “cesellato” da ore di palestra, ma dove, per contro, era ben difficile incontrare gente triste, infelice, e con la severità scolpita in volto...
Non voglio certo idealizzare i paesi del Sud del mondo come “paradisi felici”, ci mancherebbe: se leggo l'elenco delle disgrazie del Vangelo di oggi - guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie, pestilenze e segni terrificanti dal cielo - devo ammettere che di tutto questo, il Sud del mondo non si fa mancare proprio nulla! Beh... neppure qui mi pare che siamo carenti di tutte queste cose, ultimamente! Ma c'è una differenza, che sta nella comprensione di un concetto che il Vangelo di oggi esprime con una semplice parola alla fine del brano: la perseveranza. Quella “perseveranza” con la quale, ci dice Gesù, “salverete la vostra vita”.
Mi viene da pensare che qui, nel vecchio mondo ricco e tecnologicamente avanzato, abbiamo preso alla lettera il concetto di “perseveranza”. L'etimologia di questa parola (che per tutti significa costanza, fermezza, tenacia nel perseguire i propri obiettivi) rimanda al latino “per-severus”, ovvero “ostinatamente severo”, proprio come quella espressione scolpita sui visi dei miei conterranei condita da una buona dose di infelicità che avevo riscontrato al rientro nella mia terra d'origine. Forse - pensavo in questi giorni - la necessità di lottare quotidianamente contro guerre alle porte di casa nostra, rivoluzioni nel sud del mondo che provocano incontrollati flussi migratori di masse di disperati, scosse di terremoto che fanno della nostra bella Italia una terra ballerina, mancanza di lavoro e di stipendi adeguati che ci auguriamo non ci portino alla carestia, pestilenze che non accennano a lasciarci con il cuore in pace e segni dal cielo che spesso se non sono terrificanti poco ci manca, hanno reso i nostri volti “perseveranti” nel senso letterale del termine, ossia che c'è poco da stare allegri!
Ma allora, perché in altri paesi del mondo che vivono le nostre stesse situazioni elevate all'ennesima potenza, la perseveranza nel viverle si traduce tutto sommato, comunque, in una sorta di resilienza che, in fondo, non intacca la serenità, non solo del volto, ma anche dell'anima? Perché da noi le difficoltà vengono vissute con tristezza, preoccupazione, severità, e quella rabbia che poi sfociano in incomprensibili azioni di gratuita violenza di cui le cronache di questi giorni sono stracolme, anche nelle nostre piccole realtà locali? Perché siamo capaci, tutto sommato, di essere “perseveranti” (e noi bergamaschi dalla testa dura ne sappiamo qualcosa, riguardo al “mola mìa”, al “non mollare”) ma non siamo più capaci di esserlo in maniera serena e fiduciosa? Nel Sud del mondo, hanno trovato il loro modo “resiliente” di vivere e sopravvivere attraverso l'assimilazione dell'idea di essenzialità, che ha abituato la gente a vivere ed essere felice di quel poco che ha. Cosa che a noi riesce molto difficile, a causa di un benessere acquisito a cui non possiamo più rinunciare. E allora, cosa possiamo fare? Di che cosa abbiamo bisogno?
Forse ci manca una sola cosa: un po' di fiducia. Fiducia nella vita, che va avanti comunque, e la storia “maestra di vita” - come la definiva Cicerone - ci insegna proprio questo;
fiducia nell'umanità, ovvero nei nostri fratelli e sorelle, che non sono solo lupi rapaci pronti a portarci via con violenza il nostro bottino, soprattutto se siamo capaci di condividerlo con chi non ne ha;
fiducia, soprattutto, in un Dio il cui messaggio di vita, anche oggi, ci dice di “non terrorizzarci”, perché anche nel più buio dei momenti della vita e della storia egli ci darà “parola e sapienza”, per mezzo delle quali non ci verrà torto neppure un capello...
Perseveranti, allora, certamente: ma nella serenità.