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TESTO Il Duomo e storie di città, di case e di alberi

don Angelo Casati   Sulla soglia

Dedicazione del Duomo di Milano (Anno C) (16/10/2022)

Vangelo: Lc 6,43-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,43-48

43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.

Quando il pensiero va al Duomo - come accade oggi, nel ricordo della sua lontana dedicazione - ci si affollano immagini bellissime. Difficile contenerle. E poi a immagini si aggiungono immagini, se scorri le pagine bibliche con le loro intriganti suggestioni, con allusioni a città, a case e alberi. Leggo le parole del profeta. E respiro. Sul momento respiro. Mi fa entrare in una città di cui è scritto: "Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno né di notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle genti".

Nel nostro Duomo è come respirassimo, respirassimo ampiezza, non c'è aria di chiuso e di ristrettezza. Sarà anche per le sue volte, alte da brivido, o sarà anche perché vieni dall'incanto delle guglie bianche che fanno convocazione allegra nel cielo. Così la chiesa che sogni, luogo dove si respiri, luogo del respiro infinito di Dio. E di Gesù che, ultima cosa di cui volle farci dono, fu il respiro: sul legno nudo della croce, legno albero, consegnò lo spirito, consegnò il respiro. E fosse risveglio e respiro per tutti! Per tutta la terra che, contrariamente a quanto dicono i profeti di sventura, ha possibilità di respiro: "Del tuo spirito, Signore, è piena la terra". Il Duomo sembra invitarmi a respirare, a pensare in grande. Come potrei starci con le mie anguste visioni, restringendo il cielo, cedendo a piccinerie, a meschinità, a logiche di parte tristi, deprimenti? Mi sembrerebbe una sconsacrazione di volte, di guglie e di cielo.

Mi sembra dunque di capire che vocazione di una chiesa sia invece quella di educare, come il suo Maestro, a respirare profondamente, a pensare in grande, ad accendere orizzonti di umanità e di cielo per tutti. Che bello se qualcuno, parlando delle nostre comunità, potesse dire: "Là c'è un libero pensare, un comune e aperto interrogarsi, comunità di donne e uomini che respirano e fanno respirare". Esattamente il contrario della meticolosità, dell'angustia, del soffocamento, di cui a volte abbiamo dato segni nel tempo.

Leggevo le parole del profeta sulla città aperta, respiravo, ma, tra riga e riga, era come se avvistassi un pericolo per via di un'immagine che, sgusciando tra tante altre, mi metteva timore e vorrei parlarvene. Perché è immagine che forse tutti vorremmo mandare in esilio, esiliare dalla nostra vita, dalla vita della chiesa, dalla vita dell'intera società: la pretesa che qualcuno ti si getti in qualche modo ai piedi. Ho trovato scritto: "Verranno a te in atteggiamento umile i figli dei tuoi oppressori; ti si getteranno proni alle piante dei piedi quanti ti disprezzavano... Tu succhierai il latte delle genti, succhierai le ricchezze dei re". Pensare che altri siano proni ai nostri piedi!

A parole ci guarderemmo dal dirlo, ma poi nei fatti? Basterebbe fare discernimento nelle nostre relazioni, quelle personali, quelle ecclesiali, quelle sociali. Forse che non scopriremmo prostrazioni? E purtroppo perpetrate da noi. Da noi, pensate, che siamo discepoli di un Maestro che, lui, si è messo, a insegnamento, per primo, ai nostri piedi. Per lavarceli. Dovremmo essere donne e uomini della sorpresa. Se negli occhi ci rimane la sorpresa di un Dio che si piega, non ci vuole piegati, ci solleva. E dice parole di stupore: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15).

La logica del piegare è distruttiva, la abbiamo sotto gli occhi. Salvifica è la logica del sollevare: "Tu mi hai sollevato". Ebbene vorrei aggiungere che Gesù ci da segni per un discernimento, discernimento su radici di alberi e su pietre di fondazione. Radici e pietre di fondazione sono invisibili. Attenzione dunque a sbandierarle, a battezzare le cose con nomi religiosi, con il nome di Dio, di Gesù. Se vedi sfascio di case, se i frutti sono aspri e amari, guardati dal parlare di "principi cristiani" o di "radici cristiane".

Gesù è lapidario, che più non si può: "Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto". Lui, Gesù, era per lo più per strade, guardava case, immagino gli facesse amarezza al cuore vedere case diroccate, spianate; e pensava a noi che siamo un po' come case. Ognuno con una vita da costruire, pazientemente, pietra su pietra. Lui ci vuole case affidabili. Che la tua vita, ancorché piccola, sia affidabile. Lo siamo se, non solo ascoltiamo, ma mettiamo in pratica. Vedeva case, Gesù, e vedeva alberi. Un giorno gli accadde di cercare frutti su un albero di fico. Delusione: trovò solo foglie.

Accade quando abbondiamo in brillantezza e apparenza, ma sono solo foglie. E fossimo, per grazia, fogliame accogliente. Voi ricordate come un giorno Gesù, che si incantava agli alberi, inventò una piccola parabola, disse: "Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami ". Vedete, per passaggio di immagini, sono finito alla chiesa come albero. E tu vai a far nido. Fare nido tra i rami. Il verbo greco, pensate, custodisce la parola "tenda".

Una chiesa che si fa nido, si fa tenda: non la fissità, l'immobilità, l'impenetrabilità. La tenda la pianti la sera, la arrotoli il mattino, la ripianti la sera. Il nido tra i rami: prendi cibo e voli via, niente appropriazioni, non c'è aria di sequestro. Nel nido il seme della parola che ti nutre, che porterai ad altri uccelli, che a loro volta nutriranno altri voli. E se ti sfuggirà un seme, per piccolo che sia - seme di senapa - sappi che germoglierà in altri terreni, altri alberi. E poi nuovi nidi, altri uccelli. A non finire.

 

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