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TESTO Commento su Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/10/2022)

Vangelo: Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Domenica scorsa l'Evangelo di Luca ci ha fatto riflettere sulla preghiera e sulla sua efficacia. Luca ritorna sul tema anche in questa domenica. Lo fa per portarci a verificare, sulla base dei modelli che la Parola ci indica, quale sia il nostro atteggiamento interiore (che trova poi riscontro in atteggiamenti pratici, concreti) nei confronti dei fratelli.
Il fariseo e il pubblicano (cioè l'esattore delle tasse) sono persone concrete, modelli di donne e uomini che incontriamo nel nostro cammino. Ma ognuno di noi è fariseo e pubblicano; forse non solo fariseo e non sempre pubblicano: perché questi atteggiamenti si intrecciano e si sviluppano fino a formare la struttura profonda della nostra personalità e a lasciar intravedere, pertanto, le modalità più intime della nostra relazione con Dio e con gli esseri umani. Sono spesso una spia impietosa di questa relazione: non basta sventolare un rosario racimolato chissà dove o indossare una catenina con la croce, o citare san Francesco in un discorso per definirsi cristiani.
Il fariseismo è molto di più che una falsa coscienza della propria identità: è la falsa coscienza della propria giustizia. Per restare ai modelli proposti da Luca: il Cristo non ha denunciato la falsità del comportamento del fariseo. Non c'è millanteria nelle parole che egli rivolge a Dio. Egli digiuna davvero due o tre volte la settimana, e non c'è ragione per dubitare che egli paghi regolarmente le decime. Non è in gioco la sua sincerità, ma la falsa convinzione, per anni inculturata, che tutto questo gli basti per essere giustificato davanti a Dio e per sentirsi diverso - un po' più in su in un'ipotetica scala religiosa - a chi non compie questi gesti previsti dalla Legge. Diverso rispetto al pubblicano, il quale, oltretutto, non è certo meno peccatore di quanto egli stesso s'accusi. Ed è solo questa consapevolezza che gli dà la forza, e la Grazia, di chiedere pietà.
Se la preghiera è il momento nel quale ci presentiamo dinanzi a Dio come siamo, senza la possibilità di barare perché le nostre stesse parole tradiscono la realtà intima della nostra coscienza, una rigorosa auto-analisi ci consentirebbe di mettere a nudo tutti i condizionamenti di cui siamo portatori e, probabilmente, di comprendere da che cosa questi condizionamenti derivino. Anche da un punto di vista psicologico, dunque, la preghiera è il momento della verità. Un momento da non trascurare se vogliamo conoscere le nostre reazioni più profonde nei confronti delle persone e degli avvenimenti quotidiani.
È - allora - sul modo di intendere la religiosità che si indirizza la severa lezione di Gesù. Fa impressione notare quante volte compare nel testo di Luca - del quale non si finisce mai di ammirare la profondità psicologica - la parola (il soggetto) “Io”. “Io non sono come...”; “io sono diverso...”; “io digiuno”; “io pago... ”. Le moi est haïssable, diceva Blaise Pascal; questa odiosità permea tutta la nostra cultura e fa parte integrante della filosofia occidentale, ed è responsabile delle più aberranti pagine della storia, insanguinata - da Caino ai nostri giorni - della tragica immolazione di vittime innocenti. L'io individuale e collettivo sentirà sempre gravare sulla propria coscienza gli orrori di un Olocausto non certo circoscrivibile - come dimostra tutta l'opera del Nobel Elie Wiesel - solo a un tempo storico o a una nazione.
Ci aiutano a comprendere queste parole di Luca sulla preghiera, che meditiamo in questa XXX domenica del tempo ordinario, quelle altre parole indirizzate alla Samaritana: «Donna, credimi; l'ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori (Gv 4,21-23). Troppo spesso, singolarmente e come comunità cristiana, rimuoviamo alcune domande importanti: “chi sono i veri adoratori del Padre?”; “quale diritto abbiamo («Chi sono io...», direbbe papa Francesco) per scandagliare le coscienze degli altri, di erigere steccati, di creare sistemi di esclusione nei quali la diversità (il colore della pelle, la provenienza, ecc.) degli altri diventa il principale criterio oggettivo di giustificazione della nostra pretesa superiorità?”.
Sì, l'Io è odioso. La religiosità dell'evangelo di Gesù è la religiosità del “noi”. Dio non ha solo figli maschi(come vorrebbe un certo modello di Chiesa), né solo figli con la pelle bianca (come vorrebbe un certo modello vincente di politica). I suoi figli non sono solo quelli che vanno a Messa tutte le domeniche, che osservano tutti i comandamenti e che si ritengono, solo per questo, giustificati. Dio è padre di tutti, anche degli esclusi, anche dei diversi. Con buona pace dei farisei di ogni latitudine e longitudine della terra.

Traccia per la revisione di vita
- Qual è lo stile della nostra preghiera (richiesta di aiuto, recita di formule, contemplazione del mistero di Dio?
- Preghiamo in famiglia (almeno qualche volta)?
- La nostra è una religiosità dell'Io o del Noi?
- Siamo abituati a giudicare gli altri sulla base del nostro stile di vita?
- Interroghiamoci sulle discriminazioni che, volutamente o inavvertitamente, operiamo nei confronti degli “altri”.
Luigi Ghia - Direttore di Famiglia domani

 

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