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TESTO A volte basta un'ombra

don Angelo Casati   Sulla soglia

IX domenica dopo Pentecoste (Anno C) (07/08/2022)

Vangelo: Mt 22,41-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,41-46

41Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: 42«Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43Disse loro: «Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo:

44Disse il Signore al mio Signore:

Siedi alla mia destra

finché io ponga i tuoi nemici

sotto i tuoi piedi?

45Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». 46Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo.

Un nome ci rincorre nelle letture di oggi, quello di Davide, il re Davide. Più a lungo nel racconto del Primo Testamento; per accenni nella lettera a Timoteo; in una dissertazione rabbinica nel vangelo di Matteo, dove Gesù - perdonate - sembra quasi prenderci gusto a scompigliare i pensieri, quando, alla sua domanda sul Messia e su di chi fosse figlio, i farisei rispondono: “figlio di Davide”. Tra l'altro, non sembra essere stato un titolo che gli fosse molto congeniale, anche se glielo avevano gridato pochi giorni prima, acclamandolo per le strade. Lui preferiva attribuirsi il titolo di “figlio dell'uomo”. Chissà, forse anche perché nel tempo il titolo di “figlio di Davide” aveva assunto colorazioni politiche, da cui Gesù rifuggiva.

Ebbene io oggi vorrei sostare un poco con voi sul racconto dell'inizio della storia di Davide. E mi accompagnano le suggestioni di alcuni pensieri di un biblista, gesuita belga, Jean Louis Ska, che vede negli inizi della storia di Davide l'accadere di un cambiamento: è l'elezione di un giovane. Per valutare il dirottamento, basterebbe ricordare quanto onore e apprezzamento sia riservato nella Bibbia, ma non solo nella Bibbia, nell'antichità in genere, alla vecchiaia: “Gli anziani possiedono la saggezza, presiedono numerose assemblee, prendono decisioni o giudicano in molte circostanze”.

Eppure ci sono pagine nella Bibbia che ci ricordano come Dio vada a volte per strade inconsuete: quella della elezione di Davide ne è un esempio luminoso. Dio sceglie il più giovane. Un ragazzo. Non è tra i sette figli convocati da Samuele. “Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: “Il Signore non ha scelto nessuno di questi”. Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose Iesse: ”Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge”. Samuele disse a Iesse: “Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: “Àlzati e ungilo: è lui!”. Samuele prese il corno dell'olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi”.

Voi mi capite, non conta la primogenitura, la discendenza, la statura. Questi sono i vecchi criteri che avevano indotto Samuele a pensare di trovarsi di fronte all'eletto, quando Iesse gli presentò il suo primo figlio. Ma proprio in quel momento Dio aveva svelato un nuovo criterio per la scelta. Il Signore replicò a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l'ho scartato, perché non conta quel che vede l'uomo: infatti l'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore”.

Scrive Padre Ska: “Questo racconto è particolarmente importante perché invita il lettore a un “cambio di paradigma”: dopo il fallimento di Saul, non basta cambiare il re, bisogna, soprattutto, cambiare i criteri di scelta. È importante ricordare che nella Bibbia il cuore è la sede dell'intelligenza, del discernimento e delle decisioni. In parole a noi più vicine, Dio chiede a Samuele di cercare soprattutto una persona intelligente, capace e con buon senso. Le qualità legate alla nascita o alla genealogia, come l'altezza, la bellezza e la primogenitura, sono secondarie. Le qualità interiori devono guidare nella scelta di un sovrano. Per questo la scelta del nuovo re ricade su Davide, il più giovane, che riceve l'unzione reale da Samuele e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi”.

Mi sembra preziosa la riflessione di padre Ska, preziosa e di un'attualità bruciante, ma, temo, in vigilia di essere ancora una volta disattesa, tradita da vecchi paradigmi. Pensate, non conta l'apparenza. Nella società dell'apparire. Contano le qualità interiori.

Confesso, sono rimasto abbagliato - è bellissimo - da questo versetto: “E lo spirito irruppe su Davide”. Su un giovane. Non so se ce ne accorgiamo, se ci accorgiamo che abbiamo bisogno - un bisogno improrogabile in un contesto come il nostro - dell'audacia e della intraprendenza dei giovani. Aprirsi al nuovo, all'inedito. Bisogno urgente di uno Spirito che irrompa. E irrompere non è verbo per sedentari. Non è il verbo delle vecchie formule, di coloro che dopo anni ripetono le stesse parole, sino alla noia. E' verbo per sognatori.

Ma ora vorrei aprire una breve riflessione su una espressione con cui spesso designiamo il re Davide; siamo soliti dire: “Il santo re Davide”. Mi chiedo: “Non dovremo forse dare altro volto all'immagine della santità?”. Il pensiero mi corre da un lato alla vita del re Davide, una vita tutt'altro che immacolata, dall'altro al Card. Martini che così intitolò il suo libro su Davide: “Credente e peccatore”. In Davide, ma anche in ciascuno di noi, si affacciano, quasi ad un appuntamento il “credente” e il “peccatore”. Da un lato a segnalarci che, pur essendo credenti, non siamo poi così immacolati; dall'altro a dirci che, pur peccatori, ci rimane la possibilità di rifiorire. Come fu per Davide.

“C'è una cosa più importante del nostro fiorire” - scrive il cardinale e poeta José Tolentino Mendonça - “ed è il nostro rifiorire. Che la notizia circoli tra quei feriti che noi tutti siamo; giunga a quanti hanno tentato e sbagliato; riscatti coloro che si sono perduti nei corridoi lunghi dei loro inverni”.

E, quasi eco bellissima a queste parole, quelle di un giovane amico, monaco di Bose, Emanuele Borsotti, che, proprio in questi giorni, in un suo scritto ci ricorda come a noi è affidato il ministero della cura, affinché attraverso i nostri gesti e le nostre parole “il Cristo possa continuare a carezzare le vite ferite di uomini e donne, che portano un peso nell'intimo dei cuori o nella sofferenza della carne”. Emanuele ricorda come agli albori della chiesa bastasse l'ombra di Pietro a guarire infermi su lettucci e barelle.

E aggiunge: “A volte basta un'ombra, uno scampolo di stoffa, una briciola caduta dalla tavola che sfama un cucciolo, ma in quel frammento abita già il tutto della grazia”.

 

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