TESTO Quale ricchezza salverà il mondo?
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (31/07/2022)
Vangelo: Lc 12,13-21
In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Paolo esorta i discepoli di Corinto a vivere nella modestia e nella modestia e nella semplicità, senza lasciarsi dominare da nulla e senza che le preoccupazioni terrene abbiano il sopravvento: “Coloro che usano del mondo, vivano come se non ne usassero appieno; perché passa la scena di questo mondo.”(1Cor 7, 21) Altrove diceva anche che “Tutto è lecito! Ma io non mi lascerò dominare da nulla. I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi, ma Dio distruggerà questo e quelli.”(1 Cor 6, 9 - 12). Confondere i mezzi con il fine è sempre stato tipico degli uomini, soprattutto quando ci si trincera dietro a presunte sicurezze materiali. La cupidigia, l'ingordigia, l'attaccamento oltre misura ai beni di consumo e alle ricchezze sono espedienti ben noti che alla fin fine non recano soddisfazioni se non nella misura lieve e passeggera. Molte volte gli pseudo valori conducono alla rovina e alla disfatta e rivelano la loro insulsaggine e inutilità. Soprattutto se si considera che, per l'appunto, “passa la scena di questo mondo” e ogni cosa è relativa e transitoria, contingente e non necessaria. L'esperienza ancora non terminata del coronavirus avrebbe dovuto costituire uno sprone affinché comprendessimo che non tutto il progresso si deve all'ingegno umano e che comunque vi sono delle circostanze nelle quali questi si trova impreparato e insufficiente. E anche lo studio della paleontologia e delle varie ere geologiche ci suggerisce che l'uomo non è stato l'unico elemento dominante nella creazione, non è stato il più duraturo e neppure il più necessario. L'esistenza di altre specie animali come i dinosauri o simili rettili, vissuti per oltre 180 milioni di anni e la sussistenza, ancor prima, di altri vertebrati e mammiferi testimonia che Dio avrebbe potuto anche fare a meno dell'uomo per esaltare la sua creazione. Che l'homo sapiens sia sorto “soltanto” 200000 anni or sono, dopo una lunghissima serie di evoluzioni viventi durata miliardi di anni, ciò significa che Dio avrebbe potuto anche non concedere che sorgessimo e del resto se determinate specie animali fossero sopravvissute all'estinzione di massa, probabilmente altri esemplari compreso l'uomo non si sarebbero sviluppati. A detta di non pochi esperti, l'umanità è destinata ad autoestinguersi in tempi molto più brevi rispetto a determinate altre specie animali. L'uomo è come “l'erba e la sua gloria è come il fiore del campo... secca l'erba, appassisce il fiore.”(Is 40, 6. 8), se Dio ha voluto collocarlo come la più nobile fra le creature con il ruolo di “dominare” il mondo ciò è stato solo in ragione del suo amore e della sua misericordia.
Qoelet ci ragguaglia che addirittura il lavoro stesso dell'uomo è vanità e che “nulla di nuovo esiste sotto il sole, se non ciò che è destinato a deperire o a sparire: “Vanità delle vanità, tutto è vanità" perché ogni cosa che accade nel mondo è relativa e l'uomo stesso è relativo. Nella sua visione pessimistica, il presente libro delinea la provvisorietà della nostra vita e l'inutilità della fatica, della lotta e dell'intraprendenza, visto che ogni cosa che facciamo è destinata a cadere nel vuoto dell'inanità e della sconclusionatezza.
E d'altronde anche il continuo affannarsi nell'azione e nel lavoro sembra non aver senso o non portare a nulla di esaltante dal momento che spesso siamo destinati a non vedere i frutti del nostro operato o peggio ancora vi sarà chi ne farà uso improprio e immeritato. "Chi ha lavorato con pazienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha mai faticato", soggiunge sempre il nostro autore veterotestamentario con amarezza intorno alla vanità di questo mondo.
Fortunatamente la conclusione di questo libro sapienziale è più incline alla speranza. Nell'ultimo capitolo infatti la frase suddetta con la quale l'autore aveva esordito "Vanità delle vanità, tutto è vanità"si ripete nuovamente, ma questa volta con la raccomandazione a riporre la propria fiducia in Dio e a osservare i suoi comandamenti "perché qui sta tutto l'uomo".
Perché allora abusare della creazione idolatrando la creatura al posto del creatore? A che scopo autoesaltarci o affermarci sul cosmo e su tutto il creato, ritenendo che la scienza non ha bisogno di Dio? E soprattutto perché restare asserviti alla cupidigia e alle sicurezze materiali che rivelano la loro vanità e nullità? Tutto quello che ci illudiamo di possedere potrebbe esserci tolto anche in un istante e in un solo momento potremmo fare esperienza dell'illusorietà della nostra presunta efficienza.
Nella sue risposta alquanto perentoria a chi chiede di intervenire a suo favore per una questione di eredità, Gesù dichiara di non volersi intromettere, quale Dio fatto Uomo e Verità assoluta, nelle questioni che toccano fondamentalmente l'egoismo e la voluttà umana. Se Gesù decidesse di assecondare quella insolita richiesta, favorirebbe il lato debole di ambedue i fratelli, cioè la cupidigia e la brama di successo materiale. Preferisce allora “non essere giudice di questioni impertinenti, ma piuttosto rendere edotti i due fratelli che la sicurezza economica e la brama di potere illudono di salvarci e sono ben lungi dal procurarci quella gioia e serenità che continuamente agogniamo. Di più: chi ripone la sua fiducia sul successo materiale, inevitabilmente si allontanerà da Dio avendo come divinità “il proprio ventre vantandosi di cose vergognose per la sua stessa rovina (Fil 3, 17 e ss) con deprecabili risultati di distacco e di tensione verso il prossimo. Cosa comporta l'amore oltre misura verso i beni effimeri se non l'indifferenza e la ritrosia verso gli altri, il sospetto, la cattiveria, l'acredine e tanto altro ancora di lesivo che tende a danneggiare noi stessi e gli altri? Meglio fuggire alla tentazione del successo facile e della sicurezza fallace nei beni di consumo e prodigarci su ciò che davvero ci realizza e che è durevole per sempre: l'amore di Dio.