TESTO Commento su Lc 10, 38-42
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XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/07/2022)
Vangelo: Lc 10, 38-42
In quel tempo, 38mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono,
e producono frutto con perseveranza
(dalla Liturgia)
Marta e Maria... La nostra tradizione dualista, pesante ed irriducibile eredità della cultura classica, soprattutto greca, non ci aiuta certamente a liberarci dal vizio di creare contrapposizioni, di analizzare la realtà attraverso dicotomie descrittive che catturano la complessità del reale e dell'essere in categorie semplificate: bello-brutto, buono-cattivo, facile-difficile, anima-corpo, religiosità orizzontale-religiosità verticale, ecc. Lo ha richiamato recentemente anche papa Francesco, parlando della guerra Russia-Ukraina.
Questa visione dualista non è certo estranea alla cultura cristiana anche contemporanea. Tutti sentiamo sempre il bisogno di dividere il mondo tra buoni e cattivi, tra credenti e non credenti, per poter esprimere su di essi un giudizio morale e con la conseguenza di fare spesso perdere di vista l'unità interiore della persona, la sua capacità di sperimentarsi come soggetto agente, e soprattutto la complessità dell'esistenza umana non riconducibile a modelli sociologici o a norme di diritto canonico.
Teorizzazioni astratte? Fino a un certo punto. Come negare l'approccio dualistico nel valutare il comportamento delle due sorelle, Marta e Maria, così diverse tra loro? In esse abbiamo visto il simbolo della contrapposizione tra azione e contemplazione, momenti che nella vita cristiana dovrebbero sempre essere integrati in una profonda unità.
Nella storia della Chiesa questo dualismo è stato talmente interiorizzato da assimilare lo stato di perfezione con la “fuga mundi” e, conseguentemente, dall'indurre a cristallizzare in strutture specifiche, ben separate dal mondo, l'ideale dell'ascesi e la pratica della preghiera. È questo un altro dei grandi “vizi” rintracciabili nella storiografia ecclesiale: creare strutture, anziché avviare processi. Ed è frutto anche di quel pessimismo radicale che rimuove l'essere umano in tutta la sua complessità di anima e di corpo dall'esperienza religiosa, e che fa considerare il mondo come “luogo” sociologico e antropologico del male, dimenticando che il Maestro non ha pregato il Padre perché “tolga” dal mondo i suoi discepoli, ma che li liberi dal Maligno.
Un recupero di questa dimensione di libertà porta a non svuotare più del loro contenuto profondo quelli che un tempo erano chiamati “consigli evangelici”. Essi, in realtà, sono un appello profetico per l'intera Chiesa. E non è profezia vivere la povertà con il costante assillo giuridico che porta a cavillare su quanto si può possedere e su quanto non si può possedere; non è profezia vivere la castità come separazione, rifiuto o timore della sessualità (e qui i discorsi da fare sarebbero moltissimi, dal celibato dei preti - che è esclusivamente una legge ecclesiastica -, alla castità prematrimoniale, al vivere assurdamente “come fratello e sorella” tra i divorziati risposati che vogliano accedere all'eucaristia, e sono solo esempi...); né infine vivere l'obbedienza come dispensa dall'assumere decisioni personali in rapporto al coinvolgimento nella storia umana. La profezia o è personale o non è; essa non è incapsulabile nelle istituzioni, come bene dimostra la vicenda umana ed ecclesiale di Francesco d'Assisi. E non è certo profezia - quanto piuttosto un severo richiamo alla pigrizia laicale - assumersi il compito, come Chiesa, di costruire ospedali, circoli dopolavoristici, oratori o altro: può essere una forma di supplenza, sicuramente degna di gratitudine, ma non il compito profetico della Chiesa, che è quello che ci hanno lasciato i due Giovanni. Il Battista che ha annunciato il Cristo, e l'Evangelista che ne ha esposto la legge suprema, quella dell'amore. Chi non crede, chi ha perso la speranza, deve poter esclamare, guardando i cristiani e le comunità cristiane (le Chiese): “Guarda come si amano” e non “Guarda che bel palazzo hanno costruito!”.
E qui torniamo a Marta e Maria.
Certo non si può dire che Marta non amasse il Cristo: lo aveva invitato a casa sua, il suo servizio era disinteressato, come ogni forma di amore. La differenza con Maria sta nell'atteggiamento e il fatto che Maria abbia scelto “la parte migliore” non rappresenta tanto l'elogio della passività, quanto piuttosto quello della ricettività. Non credo che si possa amare l'essere umano in modo totalmente coinvolgente senza risalire in modo spesso misterioso, addirittura inconsapevole, e non necessariamente istituzionalizzato, alla fonte stessa dell'Amore. al Dio che è Amore. E non credo che si possa entrare in questo Amore senza passare, in qualche modo, anch'esso misterioso, attraverso la contemplazione, o almeno senza sentirne la necessità e il gusto. L'incontro europeo dei giovani che si ispirano a Taizé - quest'anno a Torino - ne è la prova più evidente.
Ora, la contemplazione non è adorazione estatica di un Dio raggiunto, ma ricerca faticosa di un Dio che ci parla attraverso la sua Parola e, contemporaneamente, attraverso la storia. Occorre dunque disporsi all'ascolto, sapendo che nulla è più terribile della superbia di chi ha la convinzione di avere finalmente raggiunto la conoscenza di Dio.
Traccia per la revisione di vita.
1) Siamo convinti che non esistono scorciatoie semplici per situazioni complesse? In altre parole: siamo anche noi convinti che il mondo possa essere diviso tra buoni e cattivi? Siamo disposti ad accompagnare le persone, soprattutto i giovani, in un percorso di crescita? O ancora vogliamo cambiare l'altro sulla base dei nostri parametri comportamentali?
2) Come viviamo concretamente nella nostra coppia e in famiglia l'appello alla povertà, alla castità e all'obbedienza?
3) Confidiamo nello Spirito che viene in soccorso della nostra fragilità e della nostra aridità, e che - quando non sappiamo neppure trovare le parole per pregare - è Lui stesso che prega in noi e per noi?
Luigi Ghia - Direttore di “Famiglia domani”