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Paolo Curtaz   Ti racconto la Parola

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (26/06/2022)

Vangelo: Lc 9,51-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,51-62

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Gesù, nel vangelo di oggi, letteralmente, indurisce il suo volto.

Ora punta verso Gerusalemme. La Gerusalemme che uccide i profeti.

Sa, e Luca l'evangelista lo rimarca, che a Gerusalemme si giocherà tutto.

Sa e dice, e restiamo allibiti, di essere disposto a morire pur di non rinnegare il volto del Dio che ha
conosciuto e che annuncia.

E noi, ora, qui, se vogliamo, siamo chiamati a dire di Dio. Del suo Dio.
Il Dio innamorato. Il Dio bellissimo.
Il Dio comunione, il Dio che si fa pane.
Lo Spirito ci conduce a capire, alla verità tutta intera.

Il mondo si sfalda, divorato dall'odio e dalla bramosia, ubriacato dagli idoli, immemore del suo

destino e della sua chiamata. La Chiesa, nella sua attuale forma storica, non quella nel cuore di Dio,
fatica a trovare nuovo slancio.

A noi, discepoli inviati, noi che ci siamo scoperti amati, agapetoi, è chiesto di restare come pioli

conficcati nel terreno, incendiati come una torcia, per costruire - infine - quelle comunità profezia

di un mondo nuovo, di un'umanità riconciliata, che cambia il precipitare degli eventi. Non più
verso il caos ma verso l'abbraccio di Dio.
È tempo di rinnovamento. Di passione. Di amare.
Il mondo ha bisogno di testimoni, non di devoti abitudinari.
È Gesù che ce lo chiede.

Il desiderio del Maestro

Gesù non è un rabbì bramoso di discepoli, né abbassa il tiro per raccogliere la folla, né cede a

compromessi per suscitare consensi: diversamente dai guru di ieri e di oggi non desidera essere

famoso, né di avere attorno a sé folle plaudenti, né essere votato, né avere tanti like sul profilo, né
comandare.
È libero, vertiginosamente libero.
Intensamente libero.

Egli vuole solo annunciare il Regno, mostrare lo splendido e inatteso volto del Padre. Anche

quando farlo costa fatica e sangue. Contrariamente a quanto avveniva con i rabbini del suo tempo,

Gesù non si fa scegliere, ma sceglie i discepoli e pone loro condizioni tutt'altro che scontate...
Graffia, come ci riporta il vangelo di oggi.

Le condizioni per diventare discepoli di Gesù sono motivate dal livello della sfida: egli vuole

discepoli disposti a mettersi in gioco totalmente, non soltanto nel momento mistico della vita.

Gesù è disposto a morire per raccontare il vero volto di Dio.

Dai suoi discepoli pretende la stessa convinzione.

Attenti ai mistici

Una convinzione, però, che non può mai diventare violenza, anche solo verbale, anche per una

buona causa. La sconfortante figuraccia di Giovanni, il mistico, ammonisce i fratelli che, nel

percorso di fede, hanno avuto la gioia di sperimentare la dolcezza della preghiera e della

meditazione, del silenzio e della contemplazione, raggiungendo vette spirituali non abituali.

L'avere ricevuto enormi grazie non ci mette al riparo da clamorosi errori, tanto peggiori quanto
motivati da presunte rivelazioni interiori.

Il discepolo è un amante della pace, un pacifista pacificato e pacificatore, uno che sa che la scelta

del Vangelo è - appunto - una scelta, uno che sa valutare il fallimento del proprio annuncio nella
paziente logica del Vangelo.

Non basta una bella esperienza di fede per avere un cuore convertito, né un'intensa vita di preghiera

per non cadere nel rischio del fanatismo e dell'intolleranza.

Quante volte misuriamo la nostra pastorale dai risultati, convinti, in teoria, che ciò che a noi è

chiesto è solo di seminare, depressi, in realtà, se non ne raccogliamo i frutti.

Quante volte, anche noi, invochiamo serene disgrazie su questo mondo che rifiuta il vangelo (o,

piuttosto, rifiuta il nostro modo di annunciarlo?). Dio non sa che farsene di discepoli (santamente)
vendicativi.

I discepoli

Il discepolo che segue colui che non ha dove posare il capo, non cerca Dio per placare la propria

insicurezza. Tanti, troppi cristiani, hanno un rapporto con Dio intimista e rassicurante, si rivolgono

a Dio per avere certezze, fanno della propria fede una cuccia, un nido, sono spaventati dal

“mondo”, che vedono sempre come un luogo pieno di pericoli, non escono dalla propria parrocchia,

dal proprio movimento, perché intimoriti da una logica anti-evangelica che non riescono ad

accogliere con serenità e criticità. Il Maestro Gesù, invece, non ha dove posare il capo, non ha un
comodo nido in cui nascondere i propri discepoli.

Il discepolo che segue il Signore della vita, colui che è più di ogni affetto, più di ogni relazione, più

di ogni emozione, chiede di ridimensionare anche i rapporti famigliari, di appartenenza al clan,

nella logica del Vangelo, sapendo che anche l'amore più assoluto, più intenso è sempre e solo

penultimo rispetto alla totalità assoluta di Dio. Di scoprire che ogni realtà, affatto, passione, è realtà
penultima perché di ultimo c'è solo Dio.

Perciò il discepolo di Gesù abbandona i sentimenti mortiferi, le relazioni all'apparenza splendide
ma che, a volte, nascondono ambiguità e schiavitù.

Gesù sa che i rapporti di discepolato, talora, sono più intensi e veri degli stanchi rapporti famigliari.

E ci invita a lasciare i morti seppellire i morti e a giocare la nostra vita nella totalità del dono di sé.

Il discepolo che segue Gesù, sempre proteso al futuro, non resta inchiodato al proprio passato, non

resta tassellato alle proprie abitudini, non si nasconde dietro il “si è sempre fatto così”, guarda

avanti, punta la fine del campo, è più attento a tenere in profondità l'aratro che a verificare ciò che

ha fatto, voltandosi indietro. Ci si volta indietro per guardare se siamo andati diritti. Per giudicare
noi stessi e gli altri. Illusi: la vita è fatta a zig-zag.

Troppe volte le nostre comunità sono più preoccupate a conservare, che a far vivere il Vangelo.

Troppe volte la logica soggiacente alle nostre scelte di Chiesa è quella della tutela di un privilegio,

del mantenimento disperato di uno status quo che, però ci allontana dal Maestro.

Così
Un po' urticante, lo ammetto.

Ma vero e autentico. Gesù è così esigente perché vuole uomini e donne autentici, non animali

impauriti da sacrestia o evangelizzatori fanatici. Uomini e donne riempiti dalla gioia della ricerca,

dal fascino del Rabbì, che mettono le proprie energie a servizio del Regno.

Forse da qui dobbiamo ripartire in questo benedetto sforzo sinodale.
I santi cambieranno la Chiesa. Noi, se santi.
Ecco, essere cristiani è qualcosa del genere.

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