TESTO Il quotidianamente sacro
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (19/06/2022)
Vangelo: Lc 9,11-17
11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Quando pensiamo o parliamo dell'Eucaristia, i nostri pensieri e le nostre parole si rivestono di un'aura di sacralità che ha poche analogie nella Chiesa: nulla quanto il Santissimo Sacramento è, tra i cristiani, attorniato di sacralità e onore, e non potrebbe che essere così, dal momento che non veneriamo un simulacro, un'immagine, un'effige di un santo, né tantomeno ricorriamo a un luogo dove possano essere vissuti i santi, e neppure pellegriniamo verso luoghi di reali o presunte apparizioni della Beata Vergine Maria. Il tabernacolo non è l'eremo dove ha vissuto un santo; il Corpo di Cristo esposto all'adorazione dei fedeli nell'ostensorio non è un'apparizione; portare Gesù nell'Eucaristia in processione con più o meno onore (a seconda anche delle tradizioni che si tramandano) non è la stessa cosa che portare le statue di Maria e dei Santi, le quali, pur essendo da noi venerate e amate come presenza viva per la vita della comunità, rimangono pur sempre degli oggetti di culto. L'Eucaristia non è un oggetto di culto; l'ostensorio che contiene l'Ostia consacrata, per quanto artisticamente prezioso possa essere, non è semplice espressione di una tradizione che si rinnova ogni anno con la Solennità del Corpus Domini: si tratta di una presenza viva, reale, concreta, pulsante vita e camminante in mezzo a noi, sulle nostre strade, come noi facciamo nella vita di ogni giorno.
In questa viabilità quotidiana che oggi ci appare più solenne del solito perché percorsa dall'Eucaristia con una processione, Gesù cammina con noi, diviene parte del nostro quotidiano camminare, faticare, lavorare, gioire, correre, innamorarci, adirarci, preoccupare, soffrire: in una parola sola, del nostro vivere di ogni giorno. È proprio per questo che la Chiesa riserva all'Eucaristia una sacralità e un culto senza pari: perché nulla come l'Eucaristia ci dice la presenza del Dio fatto Uomo, fatto Carne, fatto Pane in mezzo a noi.
Ma la cosa ancor più particolare di questa aura di sacralità intorno all'Eucaristia, è proprio ciò di cui parlavo poc'anzi: la sua quotidianità. Nella straordinarietà del Mistero di un Dio che si fa cibo quotidiano per noi, osserviamo, contempliamo, preghiamo e viviamo la sua totale condivisione e assimilazione alle vicende del nostro vivere. Ciò che di più sacro adoriamo e conserviamo nella Chiesa è proprio ciò che più quotidianamente di ogni cosa ci parla di Dio: perché se c'è qualcosa che nella nostra quotidianità non manca, e non può e non deve mancare, è proprio il pane quotidiano, il cibo, il mangiare. E questo mangiare quotidiano lo veneriamo, oggi, nel mangiare di Dio con noi. Sacralità nella quotidianità, quindi: è forse questo il messaggio più bello e più confortante che l'Eucaristia ci vuole trasmettere anche attraverso questa solennità. E se il Pane Eucaristico è consacrazione della quotidianità del nostro cibo, significa che la sua sacralità non può essere qualcosa che marca la nostra distanza da Dio, bensì ciò che a lui ci avvicina maggiormente.
Dico questo perché, a volte - più spesso di quanto si pensi, tra l'altro - il giusto rispetto e la doverosa sacralità con cui ci riferiamo all'Eucaristia, invece di diventare un'occasione di profonda Comunione con Dio (lo dice la parola stessa...), rappresentano un motivo di lontananza e di distacco da Dio, a causa del nostro senso di inadeguatezza di fronte alla grandezza del Mistero che celebriamo. Per cui, in concreto, molte volte non ci accostiamo all'Eucaristia o non facciamo la Comunione a messa perché ci sentiamo indegni, perché non ci sentiamo a posto in coscienza, perché non siamo bravi cristiani come tutti quelli che fanno la Comunione quasi quotidianamente, perché siamo peccatori e quindi Dio non può entrare nel cuore di una persona che ha commesso un peccato, e via dicendo. Tutte cose che rivelano, a mio avviso, un concetto alquanto pericoloso per la vita di fede: ovvero, l'idea che l'Eucaristia sia qualcosa di accessibile solo a chi se la merita, una sorta di definitiva consacrazione della santità di vita del credente.
Non mi stancherò mai di ripeterlo: l'Eucaristia, la Comunione Eucaristica, non è un premio per i buoni, bensì un rimedio per i peccatori; non è la ciliegina sulla torta per festeggiare una persona pia e santa, ma la medicina per curare l'animo malato di chi fatica a credere. Perché c'è gente che fa ancora sterili e inutili battaglie per difendere la necessità della dignità e della purità personale in funzione del ricevere la Comunione - al punto da far diventare questione di vita o di morte della propria fede il ricevere l'Eucaristia sulle mani “impure”, quasi che la lingua fosse più pura delle mani - quando, nella Messa a cui partecipiamo, il momento immediatamente precedente alla Comunione Eucaristica è suggellato da questa invocazione: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”?. Cosa dovremmo dire, secondo questi “puritani della fede”: “O Signore, io sono perfettamente degno di riceverti nel mio cuore: vieni, e ti sentirai a casa tua”? Questo non significa togliere sacralità a Gesù Eucaristia, né tantomeno partecipare alla Messa con faciloneria e sufficienza: significa solamente avere la consapevolezza che non è la nostra santità personale che ci salva, ma la nostra pochezza. Non è la grandezza dei doni che abbiamo nel cuore a donarci la salvezza, ma la povertà dei nostri mezzi.
Non sono stati i viveri che i Dodici avrebbero voluto comprare per “tutta questa gente” (ammesso che ne avessero avuto le possibilità economiche) a dare da mangiare a cinquemila uomini, bensì i cinque pani e i due pesci che agli occhi degli uomini sono proprio una briciola gettata sulla mensa dell'umanità affamata, ma agli occhi di Dio sono pane condiviso che diventa fonte di vita per tutti.
E tutti possono mangiarne, anche senza aver fatto le abluzioni rituali della fede giudaica perché nel deserto non c'era acqua;
tutti possono mangiarne, e per di più con dignità, seduti (come solo i signori facevano, all'epoca), serviti dai Dodici, uomini di Chiesa (perché l'Eucarestia è un dono che la Chiesa è chiamata a donare ai più poveri, e non a conservare per i più bravi);
tutti possono mangiarne, e non solamente nessuno ne rimane escluso, ma ne avanza anche, perché a nessuno deve essere negata la possibilità di sentirsi in comunione con la Chiesa solo per il fatto che “prima i nostri, poi gli altri, perché non ce n'è per tutti”.
La pochezza della nostra vita messa a disposizione degli altri è benedetta da Gesù e diviene pane spezzato per tutti: questa è la logica del Regno che Gesù, anche quella sera, in un luogo deserto, stava annunciando alle folle.
Una logica che si fa cura per chi ha bisogno di cure. Anche attraverso l'Eucaristia, Pane di vita.