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TESTO Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te

mons. Roberto Brunelli

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (19/06/2022)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

La Messa di oggi richiama l'attenzione proprio sulla Messa: ricorre infatti la "Solennità del Corpo e Sangue di Cristo", più nota col precedente nome latino di "Corpus Domini". In altre parole, si celebra l'istituzione dell'Eucaristia (seconda lettura, 1Corinzi 11,23-26), col sottinteso dato sociologico, ricordato chiaramente dal vangelo (Luca 9,11-17), narrando la moltiplicazione dei pani e dei pesci.


 "C'erano circa cinquemila uomini... Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà". Il miracolo con cui un giorno Gesù ha sfamato la folla, accorsa ad ascoltarlo in un luogo dove non c'era modo di procurarsi cibo, a prima vista si direbbe di scarso rilievo, a confronto con l'incomparabile dono lasciato da Gesù, cioè con il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Ma nell'ottica di Gesù non è così: a lui interessa l'uomo in ogni sua dimensione, spirituale ma anche fisica, terrena.


 Appena prima di compiere il prodigio, dice il vangelo, il Signore si era dedicato "a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure". Preoccupandosi di risanare i malati e sfamare la folla, egli ha formulato nei fatti un insegnamento perenne. Primo, non è certo volontà di Dio, se gli uomini soffrono di malattia o di fame, se non possono condurre una vita serena, dignitosa e sicura. Secondo, tutti, e particolarmente quanti si dicono cristiani, devono impegnarsi a beneficio di chi si trova in difficoltà. Circa la fame, il pensiero va ai milioni di bambini che per questo muoiono, agli innumerevoli adulti debilitati dal non avere cibo a sufficienza e perciò facile preda di malattie. Da sempre i cristiani sono in prima linea nel soccorso a questi sventurati, senza clamore, senza strombazzarlo sui giornali o alla televisione; pochi sanno quanto fanno in proposito i missionari, quanto qui da noi fanno strutture come la Caritas, quanta generosità di singole persone rimane nell'ombra, nota solo a Dio.


 C'è poi un risvolto del problema cui spesso non si pensa: tanta fame e povertà nel mondo è quasi sempre frutto di ingiustizia, perché causata da regimi tirannici, o da un colonialismo spietato che, conclusa la fase politica, non è scomparso ma ha solo cambiato volto. Il problema della fame si potrà risolvere soltanto eliminandone le cause profonde, trasformando le strutture politiche ed economiche basate sullo sfruttamento dei più deboli: e anche in questo ambito i cristiani sono chiamati a fare la loro parte. Pochi conoscono in proposito il paziente lavoro diplomatico dei nunzi, cioè i rappresentanti del papa, presso i governi del terzo mondo; tutti possiamo concorrere, ad esempio non comperando quei beni che si sa prodotti facendo lavorare i bambini o adulti tenuti di fatto in schiavitù.


 Ma l'impegno a risolvere questi drammatici problemi non esaurisce il compito dei cristiani. Essi sanno che l'uomo, quand'anche fosse in buona salute e avesse da mangiare a sufficienza e potesse guardare senza troppe preoccupazioni al domani proprio e della propria famiglia, non avrebbe soddisfatto tutte le proprie aspirazioni. Gli rimane un altro vuoto da colmare; nel cuore e nella mente gli urgono altri orizzonti, cui magari non sa dare un nome ma che lo inquietano. La risposta, quella vera, egli non la sa trovare da solo: ecco allora Gesù, che moltiplica il pane per la folla, ma come anticipazione di quell'altro pane che è lui, quello su cui in seguito avrebbe pronunciato le parole al centro della festa di oggi: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo".

Del resto in una precedente occasione lui stesso aveva ricordato che "non di solo pane vivrà l'uomo" (Matteo 4,4). E il grande Agostino ne deduce, per sé e per noi: "Tu ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te".


 

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