TESTO Commento su Giovanni 14,15-16.23-26
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Pentecoste (Anno C) - Messa del Giorno (05/06/2022)
Vangelo: Gv 14,15-16.23-26
«15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre»,
23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Festa della Pentecoste, festa dell'irruzione dello Spirito di Dio che prende stabile dimora nei credenti. Festa da riscoprire, da celebrare, da valorizzare. In forza della fede in Cristo, dal giorno del battesimo siamo stati inabitati dallo Spirito Santo: siamo suo tempio, sua dimora.
Lo Spirito Santo, terza persona della SS. Trinità, è Amore personale, Amorevolezza divina che unisce Padre e Figlio. È Lui che ci unisce al Padre, è Lui che ci rende figli nel Figlio, è Lui che infonde in noi l'amore di Dio (cf Rm 5,5). Essendo comunione, è lui il principio dell'unità della Chiesa, che genera diversità e crea unità nella varietà dei doni e dei carismi. Inoltre, è Lui che ci ricorda le parole di Gesù, richiamandocele alla mente nell'arco delle giornate, conducendoci, sia a livello personale sia ecclesiale, a coglierne il senso più profondo.
Quanto vorremmo amare di più il Signore; quanto vorremmo amare di più gli altri. Ma il nostro povero cuore non ce la fa a suon di soli sforzi. Ecco perché è bene partire dalla preghiera, dall'invocare lo Spirito Santo, con cuore di piccoli: «Davanti a questo Amore divino, che fa liberi e unisce nella verità e nella pace, sta la creatura umana che può lasciarsi amare amando a sua volta, o può rifiutare l'amore: “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te” (Sant'Agostino). Dio aspetta e rispetta il sì dell'uomo: infinitamente ricco, Egli accetta di essere povero, perché colui che è infinitamente povero possa essere ricco nella sua libertà» (Vescovo M. Russotto).<>
Dice infatti Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Leggiamolo in due modi. Anzitutto Gesù ci assicura che se uno lo ama osserverà le sue parole, sarà reso capace di osservarle. Una persona che desidera corrispondere all'amore del Signore, accoglie le sue parole, le custodisce nel cuore e, in forza dello Spirito Santo, queste lo spingono ad amarlo, vivendo in comunione con Lui. È l'amore che conduce a vivere in comunione con l'amato; e “l'Amore in persona” è lo stesso Spirito Santo. Per questo, come diceva San Serafino di Sarov: «Il fine della vita cristiana è l'acquisizione dello Spirito Santo. Egli opera in noi una spiritualizzazione del cuore, rendendolo cuore cosciente, cuore presente, cuore amante, cuore santificato».
Inoltre, Gesù dicendo: «se uno mi ama osserverà le mie parole», fa capire che l'amore che abbiamo per Lui si vede concretamente se osserviamo le sue parole. E allora ecco che la presenza in noi di Dio “cresce”, così come la nostra unione con Lui. Facciamoci caso: c'è un profondo intreccio tra parole di Gesù e Spirito. Non è a caso: le parole di Gesù sono «spirito e vita»; esse sono piene di Spirito Santo e, per mezzo di esse, lo Spirito di Dio ci lavora il cuore, facendo sì che diventino vita vissuta, la nostra vita. Cari amici, stiamo parlando dell'opera di Dio in noi che vuol unisce a sé e conformarci sempre più a Lui. Si tratta di un mistero d'amore immenso, dinanzi al quale non possiamo che balbettare qualcosa, qualcosa di immenso e straordinario. D'altronde, lo Spirito Santo, essendo amore vero, è umile; agisce ma ama restare nascosto, opera in noi in modo tanto delicato da far sembrare che quell'opera sia interamente nostra, agisce senza snaturarci ma portando a pienezza ciò che siamo.
Ci farà bene concludere chiedendoci: possiamo dire di conoscerlo veramente? Ne facciamo esperienza o ne abbiamo giusto sentito parlare, o pensiamo che sia qualcosa che si è risolto il giorno della Cresima? Siamo consapevoli della presenza in noi - e in chi abbiamo accanto - di questo “dolce ospite dell'anima”? Ci adoperiamo per diventarne sempre più intimi, più familiari, più docili ai suoi impulsi? O è per noi un emerito sconosciuto?