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TESTO Essere «uno in Cristo» per diventare «pastori buoni e belli» nel suo nome

diac. Vito Calella

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (08/05/2022)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

La IV domenica del tempo di Pasqua è detta “Domenica del Buon Pastore”. Ogni anno il Vangelo è tratto dal capitolo 10 di Giovanni, dove Gesù si presenta come «il buon pastore» o «pastore bello» (cfr Gv 10,11a.14a).

I due atteggiamenti delle pecore nei confronti del pastore e i tre atteggiamenti del pastore nei confronti delle pecore.

Il pastore «bello e buono» è il riferimento sicuro delle sue pecore.

Quando abbiamo l'opportunità di vedere un gregge di pecore, rimaniamo stupiti, da un lato, dall'autorità del pastore e, dall'altro, dalla fiducia delle pecore.

Da una parte, Cristo risorto ci presenta due modi per esprimere il rapporto di obbedienza e di fiducia delle pecore verso il loro Pastore: «Le mie pecore ascoltano la mia voce; mi seguono [perché] le conosco» (Gv 10,27).

Cristo risorto, d'altro canto, si presenta a noi con tre atteggiamenti che fanno della sua autorità un «buon pastore e pastore bello», se veramente decidiamo di voler essere «il suo popolo e le pecore del suo gregge» (Sal 99,2b).

Il primo atteggiamento è il prendersi cura personalmente di ciascuno di noi: «Io conosco le mie pecore» (Gv 10,27b).

È un amore fatto di conoscenza della nostra realtà e di rispetto per ciò che ognuno sta vivendo. Nessuno di noi è un numero anonimo di una massa. Il Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, non ci abbandona; anzi, va a cercarci, quando diventiamo come pecore deboli e smarrite (cfr Lc 15,4-6, riprendendo Is 40,11 ed Ez 34,11-12). Lo sguardo tenero e amorevole della Santissima Trinità va ai più poveri e sofferenti, a causa della loro vulnerabilità e dei loro peccati.

Il secondo atteggiamento è quello deldonarci gratuitamente la vita eterna: «Io dono la vita eterna alle mie pecore» (Gv 10,28a).

La «vita eterna» è un modo per esprimere il dono divino dello Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, per garantire la nostra comunione con Gesù e, attraverso la centralità di Gesù, Signore della nostra vita, possiamo sperimentare ad ogni fase della nostra vita la misericordia. e la fedeltà del Padre.

Attraverso la nostra fede in Cristo morto e risuscitato, abbiamo la gioia di sperimentare la stessa comunione che unisce il Padre al Figlio.

L'esperienza della comunione con il Padre unito al Figlio nello Spirito Santo è forza di vita nuova, è forza di liberazione, è fonte della nostra gioia, è motivo della nostra speranza nella vittoria dell'amore sull'odio, della pace sulla guerra, del rispetto degli altri sull'abbandono sul trattamento degli altri come se fossero oggetti di scarto. Oggi comprendiamo che questa «vita eterna», garantita dallo Spirito Santo, vivo e presente in noi, è la ricchezza immensamente più grande di tutti i beni di questo mondo, più grande anche del denaro, che oggi si presenta come l'Idolo-Signore alternativa alla Santissima Trinità nel contesto della nostra cultura moderna.
Il terzo atteggiamento è il combattere per l'unità.

Gesù Cristo, nostro «buon pastore e pastore bello», fa di tutto per difenderci dai nemici (i lupi di Gv 10,12) e dai falsi pastori (i mercenari di Gv 10,12) che causano solo divisione e dispersione di quello che dovrebbe essere un unico gregge. Oggi ci sentiamo dire dal Cristo risuscitato: «Le pecore non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.[...] Nessuno può strapparle dalla mano del Padre» (Gv 10,28b.29b).

Gesù, «buon pastore e pastore bello», difende l'unità della Chiesa, raccolta in un unico gregge, nonostante la diversità dei popoli, delle condizioni culturali e sociali, anche delle diverse forme di spiritualità vigenti nella stessa comunità riunita nel suo nome.

Aveva detto: «E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16).

Nella preghiera al Padre, inclusa nel suo lungo discorso di congedo, Gesù dirà: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa» (Gv 17,21-22).

Gesù Cristo è il nostro «pastore bello e buono» perché prima di tutto è «l'Agnello»

Dall'Apocalisse abbiamo appena accolto la rivelazione che Gesù è insieme agnello e pastore: «L'Agnello, che è in mezzo al trono, sarà pastore di una moltitudine di persone di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, una folla di persone che indossano vesti bianche e portano le palme nelle loro mani. L'Agnello-Pastore li condurrà alle sorgenti della vita e Dio asciugherà le lacrime dai loro occhi, perché hanno lavato le loro bianche vesti con il sangue dell'Agnello» (cfr Ap 7,9,14b-17).

Gesù Cristo è il nostro «buon pastore e pastore bello» perché è «l'Agnello» obbediente alla voce del Padre ed è fedele seguace del suo progetto di nuova ed eterna alleanza con tutta l'umanità.

Tutta la sua missione di «inviato dal Padre» si riassume nell'annuncio e nella realizzazione del «Regno del Padre». Se Gesù Cristo è per noi oggi il nostro «buon pastore e pastore bello» è perché come «Agnello» ha sempre vissuto l'unità col Padre, senza mai rinnegare la sua obbedienza alla sua volontà. Egli è il Figlio prediletto, unito al Padre con l'opzione di questo rapporto di obbedienza, che non è sottomissione, ma abbandono totale «alla bontà eterna e all'amore fedele del Padre» (Sal 99,3).

Possiamo dire che Gesù Cristo è per noi oggi il nostro «buon pastore e pastore bello» perché il Padre è per lui il suo Pastore eterno e lui è «l'Agnello di Dio Padre».

La comunione tra i due è così forte e perseverante che lo stesso Cristo risuscitato ci dice oggi: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30).

Essere «uno in Cristo» per diventare «pastori buoni e belli» nel suo nome

Gesù, «l'Agnello di Dio», ascolta continuamente la voce del Padre e segue il cammino finalizzato alla realizzazione del suo regno di giustizia e di pace.

Noi cristiani oggi vogliamo fare la scelta di «ascoltare la voce di Gesù» e «seguire» le sue orme, volendo rinnovare la nostra scelta di essere suoi discepoli. Come «pecore del suo gregge» vogliamo accogliere la proposta del cammino dell'umiltà tracciato nell'insegnamento delle Beatitudini.

Vogliamo raccogliere la sfida di tessere insieme relazioni umane improntate alla tenerezza e alla misericordia, al rispetto della dignità degli altri e alla riconciliazione in mezzo ai conflitti della vita.

Vogliamo fare del nostro corpo uno strumento per la realizzazione del progetto «Regno del Padre», perché Gesù ha seguito questo ideale.

Il progetto «Regno del Padre» si concretizza attraverso la qualità delle relazioni umane di rispetto tra noi (fraternità universale) e della nostra cura per tutte le creature della nostra madre Terra (conversione ecologica), mentre viviamo in questo mondo.

Il progetto del «Regno del Padre» prosegue dopo la nostra morte fisica, quando godremo pienamente dei rapporti di gratuità che siamo riusciti a promuovere con fatica e in mezzo a tante persecuzioni lungo il percorso della nostra vita terrena.

Siamo consapevoli della nostra fragilità umana e delle cadute dovute ai nostri peccati, ma ci consola la certezza di non essere mai abbandonati da Dio, soprattutto quando diventiamo pecore smarrite. In aiuto alla nostra debolezza, abbiamo dentro di noi la «vita eterna» dello Spirito Santo, che ci permette di vincere le tentazioni di ascoltare e seguire gli impulsi del nostro egoismo e gli idoli creati dall'umanità.

Il segno che la «vita eterna» dello Spirito Santo prevale nella nostra esistenza è questo: facciamo di tutto per promuovere l'unità nella carità tra noi e la comunione tra i cristiani.

La nostra esperienza di essere «uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26) ci rende pastori buoni e belli degli altri, ci rende missionari che aiutano a rendere la nostra comunità composta di discepoli «pieni di gioia e di Spirito Santo»» ( At 13,52), nonostante le persecuzioni e ogni forma di opposizione al nostro annuncio della Parola.

 

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