TESTO "Beato", se confidi; "guai", se basti a te stesso
don Mario Simula ufficio catechistico diocesi di Sassari
VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/02/2022)
Vangelo: Lc 6,17.20-26
In quel tempo, Gesù, 17disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone,
20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Il cuore di Dio, in certi momenti, attraversa crisi profonde. Prende atto della cattiveria dell'uomo che confida in se stesso e non sa vedere, oltre se stesso, alcuna risorsa per vivere il bene. Quest'uomo autosufficiente, presuntuoso, chiuso nel suo mondo, solitario nella sua idolatria, rassomiglia, secondo Dio, alle piante della steppa, condannate ad essere sempre sterili, in un deserto arido, in una terra salata e ingrata, dove nessuno e niente può vivere. Dove si colloca l'uomo che si ritiene Dio, soltanto perché possiede un po' di beni, un po' di potere, un po' di crudeltà, un po' di consenso? Nelle fauci di un deserto senz'acqua annaspa, morendo di sete, stremato dai suoi bisogni, rimanendo senza risposte, abbandonato a se stesso, povero granellino che nessuno riesce a vedere. E' diventato un nulla. Mi sembra la sorte di tanti uomini e donne che, secondo me, non appartengono alla mia esperienza. Eppure quante volte anche io mi sono sentito più grande di Dio, senza desiderio di Dio, senza aspirazioni verso Dio, ripiegato su me stesso, a piangere sulla mia imminente distruzione! Io deserto in una comunità deserto. Io arido in una comunità arida. Chi può avventurarsi nella bocca di questo fuoco inestinguibile, inesorabile? Soltanto l'uomo, che ha il potere di tenere Dio lontano, Dio senza parola, Dio senza stupore agli occhi di coloro che lo cercano con ansia, da tempo, come un bisogno irrefrenabile. E' questa l'unica sorte dell'umanità? Il testo di Geremia spalanca davanti a noi un altro mondo: quello che piace a Dio, quello che pensa Dio, quello che Dio vuole continuamente. I suoi abitanti sono uomini e donne che confidano nel Signore e pongono in lui la loro fiducia. Sono i poveri di Dio, ospitati nel cuore di Dio. Sono i poveri che crescono come l'albero piantato lungo i corsi d'acqua sempre abbondante, che irrorano le loro radici. Sono i poveri che non temono il caldo, perché, anche nell'arsura, le loro foglie rimangono verdi, e nell'anno della siccità non smettono di produrre frutti. In questo grande messaggio c'è tutto il cuore di Dio che mi dice: “Scegli, figlio mio, hai davanti il paradiso terrestre, con tutte le sue fatiche e le sue delizie, e dall'altra parte il deserto con la sua morte. Scegli, figlio mio se vuoi essere felice”. Questa voce del Signore si lancia nell'universo e trova un eco altrettanto potente, se non più potente, nel Figlio di Dio diventato nostra carne. Una voce che dice alla grande moltitudine di gente anonima, i poveri appunto, di lasciarsi guardare dagli occhi commossi di Gesù. Gesù, guarda questa marea di persone e mentre continua a riscaldarla col suo sguardo e col suo cuore, pronuncia le parole della liberazione. “Beati, voi poveri. Vi appartiene il mio regno, la mia gioia senza fine, l'appagamento dei desideri, dei vostri desideri sempre disattesi.
Beati, voi poveri che avete fame. Vi troverete tra le mani, le ceste piene fino alla sovrabbondanza per oggi, per domani, per dopodomani.
Beati, voi poveri che piangete e conoscete il gusto salato e amaro delle vostre lacrime. Io ve lo posso dire: riderete, sarete nel gaudio, contemplerete il sorriso di Dio.
Beati, voi poveri quando vi odieranno, e sarete fatti oggetto di scherno e di disprezzo per il mio nome. Sappiate che non scomparirete, ma troverete la vostra ricompensa nel cielo”. Ma. Ma. Quando ascolto i “ma” di Dio mi attraversa un brivido. Penso sempre all'amore rifiutato dall'uomo. Penso sempre alla mia ingratitudine. Penso sempre alla facciata apparente delle nostre comunità. Ed ecco i retroscena del “ma” di Gesù, Figlio di Dio.
Guai a voi, ricchi, che avete il ventre sazio fino alla nausea. Avrete fame di tutto: di cibo, di amici, di compagnia, di persone che hanno condiviso le vostre stoltezze.
Guai, a voi ricchi. La vostra consolazione è arrivata al culmine. Adesso inizia la caduta precipitosa.
Guai, a voi che ora ridete, alle spalle di chi è miserabile alla vostra porta, implorante, bisognoso di tutto. Le vostre baldorie sono finite, sarete nel dolore e piangerete. Piangerete quelle lacrime che non vi hanno commosso quando le avete viste rigare il volto dei “poveri cristi”.
Guai, quando tutti sentiranno il bisogno di portarvi alle stelle, di parlare bene di voi. E' tutta un'illusione, sperimenterete l'illusione. Nessuno vi riconoscerà più. Nessuno si ricorderà più di voi se non per dire: “il suo passaggio è stato una disgrazia!”. Gesù è inesorabile e dolcissimo sia quando dice beati perché sta abbracciando la sofferenza umana; sia quando dice guai, perché sta lanciando una scialuppa di salvataggio a coloro che hanno occhi e non vedono, orecchie e non odono, mani e non palpano, olfatto e non odorano, piedi e sono paralizzati. Il Signore ci investe con le sue domande implicite. Investe me, che ancora non ho avuto il coraggio di schierarmi definitivamente dalla parte del suo amore. Investe le nostre comunità, che ancora guardano con occhi miopi i piccolissimi orizzonti privi di visione e quindi poveri di entusiasmo nel cuore. Eppure Gesù è risorto. Con lui risorgono i morti. Se per un attimo azzerassimo la parola della nostra fede: “Credo nella resurrezione dei morti”, nemmeno Gesù sarebbe risorto e noi saremmo portatori di una speranza cieca, ingannevole, vuota. Saremmo da commiserare più di tutti glia altri uomini che non credono. Ma Cristo è Risorto dai morti, primizia di tutti noi che moriremo e saremo, alla fine, coinvolti nella sua Pasqua.
Gesù, mi viene voglia di ribellarmi quando dici: “beato” e intendi una beatitudine diversa da quella che io desidero. Tu, Gesù, sai dare gioia nel cuore, nelle profondità del nostro essere, nelle nostre viscere vitali, nei nostri uteri fecondi. Anche nei nostri volti segnati dalle rughe e sempre affascinanti, perché portano la dolcezza inspiegabile della tua persona. Gesù, in certi momenti, sento veramente le vampe soffocanti del deserto e non ho il coraggio di dirti: “Dammi della tua acqua”.
In certi momenti sento la morte che incombe mentre cammino nel deserto, e non ho il coraggio di dirti: “Se tu fossi stato vicino a me non sarei morto”. Eppure tu sei la Risurrezione e la vita.
Gesù, quanto mi piace possedere tutto, godere tutto, appropriarmi di tutto, senza pensare mai che rischio di avere vergogna di te, perché mi sono ritrovato nudo. Gesù, rivestimi del tuo manto di giustizia, della tua tunica di salvezza. Inondami col tuo sangue doloroso e soave. Se lo vuoi, trasmettimi il grido di ribellione: “Dio mio, perché mi hai abbandonato!”. Riempi le mie parole anche con lo splendore della speranza. Fammi sentire povero che ha ancora la forza di dire: “Nelle tue mani affido il mio spirito”.
Orientami, Gesù, verso i terreni fecondi, come il pastore che ama le sue pecore. Quelle piante ricche di frutti sono il segno della tua tenerezza.
Gesù, aiutami a non scappare dalle tue parole esigenti, dalle tue domande inquietanti. Fammi comprendere, sempre, che in ogni tuo gesto, che in ogni tua sillaba, che in ogni tuo sguardo c'è soltanto l'amore del Risorto, che non sarà mai pienamente felice finché non farà di me, di tutti noi, di ogni uomo, una cosa sola unita nell'amore.