TESTO Giudicati sui fratelli minimi
don Marco Pratesi Il grano e la zizzania
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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (20/11/2005)
Vangelo: Mt 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Nella festa di Cristo Re meditiamo il celebre brano del giudizio universale.
1.
Il vangelo ci svela chi è il giudice della storia: Cristo. Il giudizio esiste, la retribuzione esiste. Dire "Cristo è re" significa affermare che la (mia) storia è sottoposta al suo giudizio, che non può in alcun modo essere scavalcato, per quanto si disponga di potere o di qualsivoglia risorsa tecnica. Sarebbe affatto insensata una regalità insignificante, irrilevante per l'uomo. La mia vita e il suo esito dipendono, al di là di ogni altra possibile istanza, dalla valutazione di Gesù Cristo. Le altre valutazioni, mie o di altri, sono tutte "penultime". Una sola è ultima, senza gradi superiori, definitiva, conclusiva: quella del "Figlio dell'uomo".
2.
Il brano matteano ci dice qualcosa di più: in base a quale criterio il Re giudica?
Qui facciamo bene attenzione. Vale la regola generale secondo la quale ogni brano biblico va letto facendo attenzione al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura (Dei Verbum 12). Nessun brano, nemmeno questo, va assolutizzato e isolato dal resto della Bibbia. Non di rado se ne fanno letture improprie, come se l'unico criterio del giudizio fosse la carità verso i poveri e altri aspetti (adesione alla fede, preghiera, condotta morale) fossere irrilevanti. Ma la verità è sinfonica.
Che cosa dice il brano sul criterio del giudizio? Per stabilirlo bisogna rispondere alla domanda: chi sono questi "fratelli minimi" affamati, assetati, etc.? Di solito si risponde: "i poveri". La risposta, pur largamente diffusa, non convince. Non si legge mai nel vangelo una tale espressione riferita ai poveri. La si trova invece riferita ai discepoli: Gesù chiama i discepoli "miei fratelli" (Mt 12,46ss; 28,10); Gesù chiama i discepoli "i piccoli" (Mt 10,42; 18,6.10.14). A questi "piccoli" egli dice: "Chi accoglie voi accoglie me" (Mt 10,40), e subito aggiunge: "chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, non perderà la sua ricompensa" (Mt 10,42).
Ecco: "Avevo sete e mi avete dato da bere". Il maestro considera (non) fatto a sé quanto (non) è fatto ai suoi discepoli.
L'esortazione è dunque rivolta in primo luogo ai non discepoli, i non cristiani, e così si spiega il fatto che non si faccia parola alcuna della loro fede, e che essi abbiano agito (nel bene o nel male) senza riferirsi a Cristo: né gli uni né gli altri hanno agito con un fine religioso, non hanno riconosciuto Cristo, e rimangono sorpresi nello scoprire il valore della loro azione. Sono quindi fuori luogo conclusioni del tipo "hanno agito in modo 'disinteressato', non per 'salvarsi l'anima', unicamente volti al bene dell'altro". Simili conclusioni, oltre ad essere non fondate sul testo, sono anche errate. Questo significherebbe che chi ha amato e beneficato i poveri consapevolmente, scoprendo in essi la presenza di Cristo, ha agito in modo meno positivo di chi lo ha fatto non attribuendo a questo alcun significato spirituale; il che è, mi pare, assurdo.
Il brano dunque parla della funzione salvifica della chiesa, la comunità dei "piccoli fratelli" di Gesù, in rapporto al mondo. Essa è la presenza di Cristo nel mondo, e il modo in cui ci si rapporta con essa decide della salvezza.
È una vocazione e un dono grande per i cristiani. Tuttavia, come ogni vocazione, costituisce anche un impegno. Poiché i cristiani svolgono questa funzione salvifica nella misura in cui rendono presente Cristo essendo "minimi". Essere minimi significa non avere/ricercare grandezza umana, non essere importanti, non fondarsi su ricchezza e potere, di nessun tipo. Fu questa l'intuizione di san Francesco d'Assisi, la "minorità". Ed è un impegno forte, sia per il singolo discepolo che per la comunità ecclesiale: vivere da "fratelli piccoli" di Gesù ed essere la comunità dei "fratelli piccoli" di Gesù. L'esperienza francescana ci dà per l'appunto un'idea molto precisa di quanto questa vocazione sia esigente.
3.
Nei vangeli si nota un'oscillazione. Il povero è il "povero in spirito" (Matteo) e il povero e basta (Luca). Il "piccolo" è colui che si fa piccolo e colui che è semplicemente piccolo. Il bambino è immagine di colui che si fa tale per entrare nel Regno e di ogni persona irrilevante e debole.
Se si tiene presente questo movimento, su cui varrebbe la pena riflettere più a lungo, si può recuperare nella sua sostanza anche l'esegesi abituale del brano matteano. Il fratello minimo di Gesù è allora, prima dentro la comunità cristiana e poi fuori di essa, colui che non è più grande né uguale a te, ma più piccolo, che non può quindi gratificarti né danneggiarti: e l'unica gratuità totale è possibile unicamente nei suoi confronti.
4.
Festa di Cristo Re. Re singolare, innalzato alla gloria dopo essersi fatto minimo lui stesso, che lascia sulla terra la comunità dei suoi fratelli, i piccoli, perché sia segno e strumento del suo Regno nel mondo e consenta a chi avrà in qualche modo accolto questi piccoli, dando loro anche solo un bicchier d'acqua, di avere la ricompensa intera. Perché "chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto". Re che rende ulteriormente partecipi di questa missione in qualche modo tutti coloro che sono umanamente "minimi" e poveri, i quali soltanto rendono possibile quella gratuità pienamente attiva che rende "cristiformi" coloro che ne intuiscono il mistero. È questa la porta del Regno, "la porta del Signore: per essa entrano i giusti".
All'offertorio:
Pregate fratelli e sorelle perché questo sacrificio ci renda piccoli, e sia gradito a Dio Padre Onnipotente.
Al Padre Nostro:
Chiediamo al Padre il pane per la vita di ogni giorno, disposti a spezzarlo con chi ne manca: