TESTO L'umiltà eroica di Gesù
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
Battesimo del Signore (Anno C) (09/01/2022)
Vangelo: Lc 3,15-16.21-22
In quel tempo, 15poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
21Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì 22e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Essere umili equivale ad essere eroi, perché comporta intraprendere delle scelte che altri non farebbero, rinunciando alla propria volontà. A rendere ancora più proficua l'umiltà è l'umiliazione, che comporta anche svilirsi perché gli altri abbiano il sopravvento, annientare se stessi dimentichi perfino della propria dignità. Umiliazione e umiltà contraddistinguono Gesù Figlio di Dio in questa liturgia odierna che lo vede sottomesso al Padre e annichilito anche davanti agli uomini. Non dovrebbe il Verbo carne, la Perfezione assoluta che mai aveva peccato, essere dispensato dalla prassi di deferenza del battesimo da parte del Battista? Giovanni il precursore dispensava infatti un battesimo “per la conversione dei peccati”, un gesto esteriore di abluzione che contrassegnava l'avvenuto pentimento e il ravvedimento di quanti erano convenuti al suo cospetto confessando le proprie colpe e ammettendo innumerevoli mancanze. Un gesto a dire il vero non dissimile da quelli già esistenti in ambito pagano o comunque fuori dalla vigente usanza di fede giudaica; un elemento esteriore che però denotava la conversione interiore, cioè il pentimento, il dolore dei peccati commessi e la volontà di diportarsi secondo Dio. Una pratica necessaria di umiltà, alla quale era improprio e illegittimo sottrarsi. Ma Gesù doveva davvero sottomettervisi? Che Dio avesse fatto esassumere a Gesù una carne di peccato è assodato. Come dice infatti Paolo: " Colui che non aveva conosciuto peccato Dio lo trattò da peccato a nostro favore"(2Cor 5, 21) perché potesse partecipare in tutto della nostra natura umana assumendone ogni precarietà. Ciononostante egli, quale Dio fatto uomo, via, verità e vita, non poteva aver mai peccato, doveva e quale vero Dio e vero Uomo doveva essere perfetto. Gesù "è stato tentato in ogni cosa senza commettere peccato"(Eb 4, 15) e piuttosto sarà lui che eliminerà in noi il peccato che da sempre ci contraddistingue con un altro Battesimo, quello in Spirito Santo e fuoco, che sarà capace esso stesso di distruggere il sordido i noi e risollevarci a nuova vita. In forza dello Spirito, nel Battesimo da lui istituito, Gesù interviene egli stesso nella materia dell'acqua per dissolvere il marcio peccaminoso in noi, per eliminare il sordido e restaurarci alla purezza e alla novità per renderci a tutti gli effetti figli di Dio. Quello di Gesù non sarà più un segno esteriore, ma avrà esso stesso ‘efficacia di eliminare il peccato che è in noi. Gesù quindi "ci è stato manifestato per togliere i peccati, ma in lui non c'è peccato"(1Gv 3, 5).
L'unica ragione per cui Gesù si colloca in fila in incognito fra i peccatori onde poter ricevere anch'egli l'abluzione di Giovanni, non può essere che quella dell'umiltà e della sottomissione, che lo porta a rinunciare alle sue prerogative di salvezza per rendersi solidali con coloro che hanno peccato. Gesù quanto al peccato non getta moniti dall'alto, non dà lezioni perentorie e coercitive e non adopera mezzi di persuasione dirompenti atti a farci rimediare risolutamente alle nostre colpe.
Per liberarci dal peccato piuttosto Gesù vuole comprendere fino in fondo sentimenti, angosce, drammi, smarrimenti di chi ha compreso di aver offeso Dio e il prossimo; vuole essere solidale con quanti hanno preso consapevolezza delle loro mancanze e adesso tendono a porvi rimedio, vuole condividere e comunicare. Insomma Gesù vuole sentirsi peccatore anch'egli come tutti gli altri perché ha intenzione di accompagnare coloro che sbagliano, anziché spadroneggiare su di loro. E allora si confonde con loro per sentirsi uno di loro, pur non essendolo.
Analogo atteggiamento di Gesù sarà anche quello di intrattenersi con pubblicani, prostitute, peccatori di ogni rango e di consumare i pasti assieme a loro, comunicando con essi come nessuno nel suo tempo farebbe. La vicinanza, la comprensione e l'accompagnamento sono l'unico espediente efficace per liberare l'uomo dal peggiore malessere che lo possa affliggere, appunto la lontananza e l'indifferenza da Dio che è causa della rovina delle relazioni umane. La solidarietà e l'essere guida sono costitutivo dell'orientamento. Ciò che va sconfitto nella vita dell'uomo è il peccato, ma la persona del peccatore, non importa di quale rilevanza essa sia, è sempre preziosa agli occhi di Dio e qualsiasi elemento per salvarla è sempre indispensabile. L'umiltà di Gesù affinata all'umiliazione apporta che egli possa intervenire adeguatamente a nostro vantaggio ma per lo stesso Gesù non è un'attitudine sterile o infruttuosa: il Padre infatti lo istituirà Figlio di Dio, l'amato con una voce roboante che invita tutti a seguirlo.
Osservando il Signore che fa la fila davanti al Battista abbiamo molto da imparare in questo cristianesimo ancora non redento e non lontano dalle insufficienze dell'Antico Testamento: come allora, anche adesso il perbenismo borghese e la distanza aristocratica di chi presume di essere “migliore” porta a guardare con disprezzo i cosiddetti “peccatori conclamati”, a usare distacco, freddezza e pregiudizi verso coloro che hanno sbagliato, a guardare con sospetto coloro che anche nelle nostre comunità sono reduci da un passato discutibile eppure cercano aiuto e orientamento, animati da vero zelo di conversione. Non di rado si è soliti giudicare i “miscredenti” e i “peccatori” erigendo barriere sociali attorno a loro, quando invece proprio noi che presumiamo di stare in piedi dovremmo stare attenti a non cadere (1Cor 10, 12). Eppure lo stesso Signore, che ha istituito la Chiesa per operare in essa la salvezza ci rammenta che proprio gli ultimi e i peccatori sono l'obiettivo della nostra missione, che anche un solo reprobo mutato a nuova vita deve sortire la nostra gioia di singoli e di comunità e che oltretutto la Chiesa stessa è una comunità in continuo processo di conversione e di trasformazione, sempre atta a rivedere se stessa e a rinnovarsi in vista degli altri. Siamo chiamati alla continua revisione di vita e alla conversione personale e collettiva prima ancora che all'evangelizzazione.