TESTO Si scrive Regno si legge Amore
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (20/11/2005)
Vangelo: Mt 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Ebbe una bellissima intuizione papa Pio XI nel 1925, quando proclamò l'ultima Domenica di ogni anno liturgico come la Festa di Cristo Re dell'Universo. Terminato infatti un anno liturgico, ne subentra immediatamente uno nuovo con l'itinerario iniziale dell'Avvento, che introduce alla Festa del Natale, luogo dell'incarnazione del Verbo, nel quale si esalta il Dio creatore e Signore dell'Universo mentre realizza la sua volontà di farsi uomo, anzi Bambino, per la causa dell'umanità. Anticipando quello che ci diremo nelle seguenti Domeniche, il tempo di Avvento costituirà per noi un'atmosfera di gioiosa preparazione all'evento unico Gesù Cristo, Signore e Dio che si incarna per assumere la storia e condividere l'umanità piena, non smentendo tuttavia la sua divinità, onnipotenza e grandezza che lo qualificano anche come re universale.
Ora, se l'Avvento è la migliore predisposizione al mistero dell'Incarnazione, come non potrà esserlo anche la solennità della Regalità di Cristo, immediatamente precedente ad essa? In questa Domenica noi infatti cogliamo l'occasione per rammentare che Colui che nascerà nell'umiltà di una grotta decidendo di abbandonare i privilegi e le sicurezze della divinità altri non è che il Dio della nostra storia, il nostro re e Signore...
Il concetto di Regno di Dio si riassume in due assiomi fondamentali: 1) Dio è re in quanto creatore, padrone e dominatore di tutte le cose che da Lui provengono e a lui vertono nel ciclo dell'esistenza; come affermano i libri dell'Esodo e la Sapienza egli regna da sempre di un dominio che non avrà mai fine, in forza del quale (San Paolo) ogni cosa è a lui sottomessa. 2) Il Regno di Dio si realizza in forma concreta nelle parole e nelle opere di Cristo: tutto l'agire di Gesù, le sue opere, gli insegnamenti e i moniti, nonché l'estremo supplizio della morte seguita dalla gloria della resurrezione rimandano al regnare di Dio sulla terra. Anzi, sono esse stesse il Regno di Dio.
Cristo è infatti "immagine del Dio invisibile generato (non creato) prima di ogni creatura", quindi Dio stesso coeterno al Padre che si è fatto uomo, come afferma fra l'altro il prologo di Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... Tutto è stato fatto per mezzo di Lui". Ma se è Dio è anche Re, ossia dominatore universale e Signore, a cui appartiene tutta la storia e la contingenza creaturale.
Come affermavamo prima, a parlare del Regno di Dio sono i fatti e le opere di Gesù ben riscontrabili nei Vangeli e commentati dagli araldi della Chiesa dei primi tempi.
Basta anche una rapida lettura di essi per rinvenire che l'attitudine di Gesù è ben lungi dall'esternare dispotismo, dominio sulla massa o egemonia politica e che addirittura si allontana dalle comuni concezioni di amministrazione pubblica da noi intese. Nelle opere di Gesù sul popolo non vi è mai insomma un solo cenno all'attitudine del comando. Piuttosto, le sue opere sono sempre atti di amore attraverso cui viene mostrata la misericordia del Padre: Gesù guarisce i malati, restituisce la vista ai non vedenti, rende possibile il cammino agli storpi, e nei suoi discorsi si rende sempre solidale con gli esclusi e i bisognosi, parteggiando sempre per gli ultimi e schierandosi dalla parte dei più deboli, specialmente dei peccatori, questi ultimi oggetto di disprezzo e di emarginazione da parte della collettività vigente ma destinatari del divino messaggio di predilezione e di salvezza. Nei suoi insegnamenti dominano i temi del perdono e della giustizia, nonché della solidarietà e dell'amore al prossimo, specialmente al prossimo ultimo e bisognoso, tutte caratteristiche che sconvolgono gli schemi abituali e i modi di intendere della comunità dell'epoca.
Ne deriva che il suo Regno – così come lui stesso afferma- non è di questo mondo, ossia non corrisponde alle attese di dominio e di egemonia o di altra dimensione politica con cui noi siamo soliti individuare un regime monarchico, ma che riguarda piuttosto un regime di servizio in una logica di amore e di misericordia: Cristo è re in quanto ama e serve il prossimo. Così infatti afferma egli stesso agli emissari di Giovanni: "I ciechi vedono, gli storpi camminano e ai poveri è annunciata la Buona Novella... Quindi è arrivato il regno di Dio."
Come già anticipato nella prima lettura di oggi, la regalità di Dio in Cristo si evince nell'essere servo di un gregge disorientato e disperso che è l'umanità, la quale ha bisogno di un orientamento e di premurosa guida; quindi Gesù è re anche in quanto pastore sollecito nel dirigere le proprie pecorelle e nel guidarle verso giusti sentieri.
Il Regno di Dio è insomma una condizione di annichilimento per la quale Cristo spoglia se stesso delle proprie grandezze per consegnarsi all'umanità come servo fedele e obbediente, addirittura per essere sottomesso allo stesso consorzio umano e, finalmente, per essere da questo reso vittima di immolazione e di espiazione: quale maggiore espressione della regalità di Cristo servo se non quella della sua volontaria consegna alla frusta, all'insulto e ai chiodi della croce?
Nel ricevere la famosa corona di spine- tutt'altro che casuale- come anche nel sottoporsi agli strazi della frusta e alla cruenta conclusione del patibolo di legno, Gesù mostra la massima espressione del suo essere re, consistente appunto nel servire l'umanità con amore fino al punto da immolare se stesso.
Cristo re dell'universo oltre che Salvatore si rende anche emblema di ogni autorità, che solo da Egli può trarre la sua configurazione. Il termine stesso "autorità" derivante dal verbo augeo (servire) comporta già di per sé la necessaria disposizione a rendersi agenti di sollecitudine e di apertura concreta verso coloro che sono i nostri sudditi e attesta che nessuno, posto a capo di un gruppo o di una collettività può mai esimersi da un ruolo oneroso che è quello del servizio del suo gruppo. Ogni autorità comporta necessariamente il servizio, ma se vuole espletarsi nella sua efficienza piena non può prescindere dalla persecuzione del bene personale e collettivo dei sudditi e del generale stato di benessere umano, spirituale e materiale di un gruppo o di una società. Chi vuole ergersi a ruoli altolocati sulla massa non deve aspettarsi altro se non una dimensione nella quale dovrà interessarsi costantemente della realizzazione dei suoi membri promuovendo in tutti i casi e in tutte le circostanze il bene dei singoli e del gruppo accettando sulla scia di Cristo Re dell'Universo l'immancabile risvolto della sofferenza e dell'immolazione, ed esulando da ogni vanagloria o ambizione personale.
Ma la disponibilità ad essere servi degli altri è caratteristica che deve riguardare ciascuno di noi, come anche nostra prerogativa dovrebbe essere la logica del servizio e della disponibilità, per la quale, secondo il dire di San Paolo, gli altri siano considerati superiori a noi stessi e noi ci reputiamo servi inutili e questo ai fini di realizzare un concreto criterio di convivenza umana nel quale non si verifichino antagonismi di sorta e non si prevarichi gli uni sugli altri, e si allontani ogni forma di belligeranza e di mancata accettazione reciproca. E noi si possa regnare con Lui.