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TESTO Commento su Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18

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II Domenica dopo Natale (02/01/2022)

Vangelo: Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,1-18

1In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

2Egli era, in principio, presso Dio:

3tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

5la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

18Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

In principio, prima che Dio creasse il mondo, c'era colui che è La Parola (Gv 1,1).

L'Evangelo di Giovanni inizia con un brano in cui poesia, filosofia e teologia si intrecciano e diventano inno da proclamare, perché rivelazione delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo.
Credo che per comprendere il messaggio profondo dei Vangeli, l'annuncio non della disfatta, neppure della distretta, ma della salvezza, dobbiamo partire proprio da questa rivelazione. La Parola è sempre illuminante, squarcia cioè il buio della notte nella quale vaghiamo e ci disperdiamo. Il cammino verso la Parola è un cammino verso la luce. Dove ci porta questo cammino? Se la ricerca è onesta, anche se la strada è percorsa a tentoni, brancolando, non può che portarci, appunto, verso la luce. La luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta (Gv 1,5).

È sempre stato il compito della filosofia quello di cercare il principio originario di tutte le cose. Il filosofo è, etimologicamente, colui che ama la sapienza: quella stessa sapienza che è, per l'autore del libro del Siracide, “Legge che si esalta in mezzo al suo popolo, che è uscita dalla bocca dell'Altissimo e ha ricoperto come nube la terra”. Ma Dio, a questa figura femminile che “siede” accanto a Lui, dà un ordine: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele” (Sir 24,8)... “Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità” (12). Alla Sapienza dunque vengono attribuite le caratteristiche stesse di Dio, l'eternità e la divinità. Ma non solo: se leggiamo questo testo in parallelo con il prologo di Giovanni, comprendiamo che il Logos eterno è in cammino nel cuore della storia. Se noi cerchiamo la Sapienza non possiamo che trovare la Parola.

A dire il vero, sono stati fatti molti tentativi in questa direzione. La filosofia greca, ad esempio, da Talete in avanti, è sempre stata ossessionata, come si diceva, dalla ricerca del “principio originario”, identificato, di volta in volta, nell'acqua, nell'aria, nell'indefinito e nella nebulosità, nel fuoco. Ma la ricerca sull'origine degli “dei” resta ancora indifferenziata dalla ricerca sull'origine del cosmo, fino a quando Eraclito, cinque secoli prima di Cristo, introduce un concetto che gli deriva da un'acuta capacità introspettiva, dall'analisi attenta di se stesso e delle realtà umane. Il logos, la parola, il discorso, ma anche la Legge, la profonda legge che unifica le cose - dice in sostanza il filosofo greco - è nella tensione e nell'armonia dei contrasti e delle opposizioni: vita-morte; guerra-pace.

In principio c'era colui che è la Parola... Anche Giovanni, il più “greco” tra gli evangelisti, introduce il Logos, la Parola, come principio ordinatore; ma non è lo stesso logos del filosofo di Efeso, non è la “parola” della filosofia classica. Se per Eraclito, infatti, polemos, cioè la guerra, è all'origine di tutte le cose, per Giovanni questo principio è l'Amore. Non la violenza, l'opposizione, il contrasto, ma l'Amore. Un amore talmente intenso da essere generante, e noi lo sappiamo perché abbiamo appena celebrato il Natale, se non ci siamo limitati a “giocare” questa festa nell'ambito della nostra emotività o nel nostro consumismo sfrenato; se la nostra superficiale commozione non ci ha impedito di farci coinvolgere dall'evento. Perché la parola si è fatta carne. Colui che è la parola è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a noi uomini (Gv 1,14), percorrendo le nostre strade. Non per portare guerra, ma per seminare pace. “Egli mette pace nei tuoi confini / e ti sazia con fior di frumento. /1 Manda sulla terra il suo messaggio: / la sua parola corre veloce. / Annuncia a Giacobbe la sua parola, /i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele (Sal 147, 14-19).
Se il coinvolgimento con “colui che è la Parola” è mancato, suonano dure anche per noi le parole del Prologo: È venuto nel mondo che è suo, ma i suoi non l'hanno accolto (1,11). La Parola oggi e in tutta la storia continua ad essere rifiutata ed espulsa, come fu espulsa la santa famiglia di Nazaret alla nascita di Gesù. Continua a essere strumentalizzata, oggettivata. La si utilizza per coprire e giustificare le operazioni più esecrabili. La violenza delle opposizioni e dei contrasti pare trionfare quotidianamente sulla forza dell'amore. Il Logos giovanneo è il Logos estraneo alla violenza. Chi fabbrica e vende armi, e le spedisce in Egitto o in altre parti del mondo, non può celebrare il Natale. Anche se si dichiara cristiano e strizza l'occhio ai cattolici. Non può celebrare il Logos dell'amore: celebra il logos eracliteo, il Logos dell'espulsione, il Logos della violenza; quella stessa violenza che viene rivelata proprio attraverso l'espulsione. Il Logos è venuto nel mondo, ma il mondo non l'ha riconosciuto. Lo ha espulso, lo ha messo in croce. Per questo i Vangeli andrebbero letti a partire dalla passione, dalla fine.

Questo è, mi sembra, il messaggio di questa domenica: 18 versetti che rivelano un Dio nascosto nella fragilità e nella povertà della parola dell'uomo, ma che ci proiettano nella vita stessa di Dio, mediante un bambino, un adolescente, un uomo continuamente espulso, ma che vuole raccontarci il volto e la vita del Padre: volto e vita cui possiamo partecipare nell'Eucaristia, nel Logos che è parola e che è carne. In Lui siamo stati scelti, scrive Paolo ai cristiani di Efeso (la stessa città turca in cui nacque Eraclito) prima della fondazione del mondo. E Cristo è venuto... ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito (Ef 11,17-18). Questa è la metanoia della salvezza.

Traccia per la revisione di vita
- Quando leggiamo la Parola ci lasciamo convertire da essa o cerchiamo conferme alle nostre convinzioni?
- Accettiamo supinamente, considerandola inevitabile, la violenza nel mondo?
- Cime ci presentiamo nei confronti delle persone che incontriamo: (metaforicamente) armati o disarmati?

LUIGI GHIA Direttore di “Famiglia domani”, rivista dei CPM italiani.

 

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