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TESTO Metànoia

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

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II Domenica di Avvento (Anno C) (05/12/2021)

Vangelo: Lc 3,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 3,1-6

1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:

Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!

5Ogni burrone sarà riempito,

ogni monte e ogni colle sarà abbassato;

le vie tortuose diverranno diritte

e quelle impervie, spianate.

6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Se ci trovassimo sul set cinematografico di un film western, l'inizio del Vangelo di oggi farebbe concorrenza al copione del film “I magnifici sette”. Sì, perché il nostro “regista”, Luca, è abilissimo a sfruttare il significato simbolico del numero “sette” (che nella Bibbia, lo ricordiamo, significa la pienezza, la totalità) per inserire ciò che sta per raccontarci nel contesto di una storia dove sono protagonisti i “grandi”, i “potenti”, questi “magnifici sette” che rappresentano, appunto, il potere nella sua completezza. L'artificio che Luca utilizza è evidentissimo: per descrivere la pienezza del potere nella storia di quel tempo, utilizza l'elemento piramidale (dall'Imperatore giù, fino al governatore, al re fantoccio, per concludere con i due sommi sacerdoti) e l'elemento numerico, per ottenere il quale (cioè per arrivare a sette) inserisce anche un perfetto sconosciuto (Lisania... “Chi era costui?”, direbbe don Abbondio!) e “sdoppia” l'autorità del sommo sacerdote in carica allora, ovvero Caifa, nominando anche il suocero Anna che probabilmente era stato sommo sacerdote prima di lui, ma ora era “in pensione”, come diremmo noi. Poco importa: quando c'è da raggiungere la pienezza del potere su questa terra ci si “intrufola” nei palazzi, nelle stanze dei bottoni, anche se si è dei perfetti sconosciuti o quando ormai il nostro tempo è passato.

Ebbene, in questa vicenda di potenti e di potere, di grandi della storia e di emeriti sconosciuti, si inserisce la Parola di Dio, che viene - da dove, non si sa bene, ma probabilmente da un po' più su, rispetto al sommo Tiberio - e si deposita su “Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. Ma come? Ci sono in scena i magnifici sette della storia, e Dio si permette di saltarli e di parlare con questo Giovanni, ancor più sconosciuto di Lisania... Qualcosa non torna... La Parola di Dio forse ha sbagliato individuo, ha confuso la strada, ha sbagliato indirizzo, “si è fatta ingannare dal navigatore”, diremmo oggi! I potenti della terra, a quei tempi, non erano solamente persone che detenevano il potere politico ed economico: erano anche considerati depositari di un potere religioso non indifferente, di un'investitura divina, in alcuni casi, addirittura, di una sorta di discendenza divina, come nel caso dell'Imperatore di Roma, che aveva, come titolo, appunto quello di “divino”.

Eppure, su nessuna di queste “divinità” terrestri venne, a quel tempo, la Parola di Dio, bensì su Giovanni, figlio di Zaccaria, che non abitava in alcuno dei palazzi del potere. Certo, oggi per noi è facile dire che non era uno sconosciuto e che sulle sue origini c'era senz'altro un pizzico di divinità: è sufficiente tornare indietro di due capitoli nel vangelo di Luca, e subito capiamo chi è, come è nato e cosa questo Giovanni sia venuto a fare nel mondo. Ma allora non era così. Si sapeva solo che fosse figlio di Zaccaria, sacerdote del tempio di Gerusalemme, e come tale apparteneva per diritto alla classe sacerdotale, quindi, avrebbe avuto tutto il diritto di esercitare la sua professione di sacerdote nel tempio, come già suo padre. Nel tempio avrebbe officiato, celebrato liturgie, interpretato la Torah, offerto sacrifici di espiazione per i peccati. Lui invece sceglie un'altra strada, più tortuosa; officia in un altro tempio, il deserto; offre il perdono dei peccati non con sacrifici, ma con un'immersione nell'acqua, il battesimo, gesto simbolico di alcune comunità eremitiche del tempo che stava a indicare la morte dell'uomo vecchio e la rinascita di un uomo nuovo secondo il volere di Dio. Soprattutto, il battesimo che egli predica è un battesimo di “conversione”: un termine, questo, sul quale è bene intendersi, per evitare confusioni.

Noi siamo spesso indotti a pensare alla conversione come a un cambiamento di vita, nel senso di cambiare i comportamenti sbagliati, cambiare i nostri modi di fare, abbandonare una vita di peccato lontana da Dio per abbracciare una vita di pietà e di amore verso lui e verso i fratelli, o addirittura convertirsi da una religione a un'altra. Può essere anche questo. Ma quando gli evangelisti (e Luca in particolare) ci parlano di “conversione” intendono qualcosa di molto diverso. Usano un termine - “metànoia” - che letteralmente significa “cambiare modo di pensare”, “cambio di mentalità”. Giovanni, figlio di Zaccaria, predica e invita il suo uditorio a “cambiare mentalità”. Su cosa? Su Dio. Sul modo di vedere e di pensare Dio. Su come noi pensiamo e vediamo Dio presente nella storia dell'umanità e nella nostra storia. E Giovanni ne è l'esempio vivente. La mentalità dell'epoca vede Dio concretizzarsi nella vita dei potenti della terra; la conversione predicata da Giovanni porta a vedere Dio presente nell'uomo del deserto. La mentalità del tempo avrebbe visto Giovanni, figlio di un sacerdote, esercitare le stesse funzioni del padre; la conversione predicata da Giovanni vuole che lui sia “la voce che grida nel deserto” profetizzata da Isaia. La mentalità dell'epoca rendeva Dio appannaggio delle interpretazioni spesso arbitrarie delle autorità religiose; la conversione predicata da Giovanni porta l'umanità ad andare in ascolto della Parola di Dio ovunque essa si manifesti, anche nel deserto, anche tra gli ultimi della terra, anche tra coloro che la storia non vede e non conosce, o peggio ancora nasconde agli occhi del mondo.

Giovanni sembra dirci che Dio vuole che cambiamo mentalità perché Dio stesso ha cambiato mentalità; vuole che vediamo i segni della presenza di Dio nella storia quotidiana di ogni uomo e di ogni donna perché Dio ha fatto questo, attraverso quei personaggi che stiamo imparando a conoscere, in questo cammino di Avvento, e che si chiamano Giovanni, Maria, Giuseppe, i pastori, e - al compimento di questo cammino - il bambino di Betlemme. Il quale sarà il Figlio di Dio, ma di certo non secondo la mentalità di allora, né secondo il modo di pensare di chi vorrebbe Dio appannaggio dei potenti della terra e delle loro trame di potere.

Dio, nella vicenda di Giovanni prima e di Gesù poi, ha “cambiato mentalità”, ha cambiato modo di manifestarsi al mondo, ha cambiato lo stile della sua presenza. Dio ha voluto che il suo messaggio non fosse visto e interpretato solo da chi si riteneva depositario della Rivelazione, ma - come dice bene la conclusione del Vangelo di oggi - che “ogni uomo veda la salvezza di Dio”. E questa conversione è ancora ben lungi dall'essere realizzata. Abbiamo ancora molta strada da fare, molte vie da raddrizzare, molti colli da abbassare e molti burroni da riempire. Dobbiamo raddrizzare i nostri pensieri contorti e iniziare a pensare a Dio e alle cose della vita con maggior linearità ed essenzialità; dobbiamo colmare i vuoti della nostra ignoranza con la sapienza che viene da Dio, e non riempire le cose di Dio con le “badilate” della nostra ignoranza; dobbiamo abbassare la cresta, ogni volta che abbiamo a che fare con le cose di Dio, perché per quanto possiamo innalzare i monti della nostra superbia, la distanza (il “gap”, si dice oggi) tra noi e lui rimarrà sempre abissale.

È un cammino lungo e faticoso, senz'altro, e forse non terminerà mai, perché fino all'ultimo istante della nostra esistenza saremo chiamati a questa “conversione”, a questo “cambio di mentalità”. Del resto, come credenti, cos'altro abbiamo da fare, se non questo?

 

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