TESTO Conversione del cuore e cammini appianati
II Domenica di Avvento (Anno C) (05/12/2021)
Vangelo: Lc 3,1-6
1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
5Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Siamo vestiti di «lutto e afflizione»
Il ricordo di Gerusalemme e del suo tempio, distrutto dai Babilonesi, e il dolore di ricordare la dura deportazione degli esuli in terre straniere, senza libertà, sono riassunti dal profeta Baruc utilizzando l'immagine simbolica di una vedova vestita di «lutto e afflizione».
Quel corpo di donna, vestito con sembianze che indicano «lutto e afflizione», può rappresentare la storia della vita di ciascuno di noi o la realtà del popolo a cui apparteniamo o dell'umanità in generale.
Pensando a ciascuno di noi, possiamo dire quanto segue: più aumenta la cronologia dei nostri anni di vita, più, nel bagaglio di ricordi di ciò che abbiamo già vissuto, carichiamo la memoria di tante perdite, di tanti lutti, di fatti e situazioni che ci hanno segnati avendoci mostrato la fragilità della nostra personalità, la vulnerabilità della nostra corporeità vivente, l'illusione della nostra libertà incondizionata, l'impossibilità di essere padroni assoluti della nostra esistenza, la difficoltà di controllare le dinamiche delle nostre relazioni secondo il nostro modo di essere e volere.
Pensando in termini di collettività, ci sentiamo condizionati dalla pandemia; impotenti di fronte al cambiamento climatico e alle conseguenze future. Siamo attratti dalle novità del progresso tecnico-scientifico, ma allo stesso tempo siamo preoccupati per il mancato rispetto dell'equilibrio ecologico, per l'inquinamento incontrollato di terra, aria e mari. Ci sembra impossibile cambiare le regole del sistema finanziario basato sull'idolatria del denaro; l'ideale di uomo felice, indotto dai social network è quello del perfetto consumatore che deve obbedire all'invito del “Black friday”, organizzato in tutto il mondo; Viviamo tra ricchi e miserabili. Le ingiustizie e la corruzione nel mondo generano sofferenza, situazioni di schiavitù, migrazioni illegali di molte persone, guerre e discriminazioni. La stessa proposta religiosa cristiana è contesa in uma sorta di supermercato di chiese pentecostali separate e in competizione tra loro.
La veste del «lutto e afflizione» è rappresentazione simbolica della radicale povertà della nostra condizione umana, individuale o collettiva che sia.
Ci identifichiamo con Gerusalemme: pur nel rispetto della nostra identità individuale, ci sentiamo in comunione con tutti i nostri fratelli e sorelle che condividono la stessa fede in Gesù Cristo, morto e risorto, e in comunione con tutta l'umanità. Siamo insieme “la Gerusalemme” vestita di «lutto e afflizione».
Ma siamo già stati rivestiti «del manto di giustizia che viene da Dio».
Il Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, attraverso la profezia di Baruc, ci chiede oggi di «deporre le nostre vesti di lutto e di umiliazione e indossare per sempre gli ornamenti della gloria che vengono da Dio» (Br 5,1). Concretamente, questo significa riconoscere ogni nostro lutto, accettare la nostra povertà e consegnarci al Padre con la nudità di questa povertà e con la sofferenza del nostro lutto, credendo nell'evento salvifico della morte e risurrezione di Gesù, suo Figlio prediletto.
Immaginiamoci nell'atto di deporre i nostri vestiti di «lutto e afflizione» che coprivano i nostri corpi; ora li abbiamo nelle nostre mani; abbiamo deciso di consegnarli a Chi ha il potere di trasformare quegli abiti di «lutto e afflizione» in abiti nuovi. Lo possiamo fare perché Gesù stesso, al momento della sua morte in croce, si è donato al Padre con tutta la nudità della sua radicale povertà, si è donato con il corpo insanguinato; il Padre ha trasformato quella croce e quel corpo di lutto e di umiliazione in un corpo glorioso, eterno.
Per la fede che abbiamo in Gesù morto e risuscitato, le parole del profeta Baruc risuonano in noi come annuncio che il Padre non ci restituisce la veste di «lutto e afflizione» che gli abbiamo consegnato, ma ci riveste con «il manto di giustizia che viene da Lui!» Egli pone sul nostro capo «il diadema di gloria dell'Eterno» (Br 5,2).
Il «manto di giustizia che viene da Lui» è lo Spirito Santo, è lo Spirito del suo Figlio diletto, è la forza della gratuità dell'amore, che unisce eternamente il Padre al Figlio e che ha trasfigurato il corpo del Figlio crocifisso e morto in un corpo glorioso e vivo per sempre.
Lo stesso Spirito Santo, che ha risuscitato il corpo di Gesù crocifisso, è per noi oggi il «il manto di giustizia» che ci fa conoscere e amare Gesù Cristo fino ad essere rivestiti di Lui, rivestiti di tutti i suoi insegnamenti, dei suoi sentimenti, rivestiti della buona novella del suo Vangelo.
La parola di Dio ci spinge a collegare la profezia di Baruc con le parole lette dell'apostolo Paolo, il quale, scrivendo ai Galati, disse: «Io vivo, ma non io: è Cristo che vive in me. La mia vita presente nella carne, io vivo nella fede, credendo nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Nella stessa lettera ai Galati Paolo ha contemplato il frutto dello Spirito Santo, rivelando che esso è «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, lealtà, mansuetudine, padronanza di sé» (Gal 5,22-23).
E oggi, ascoltando un brano della lettera di Paolo ai Filippesi, il Padre unito al Figlio nello Spirito Santo ci assicura che siamo già «pieni del frutto di giustizia che ci viene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode del Padre» (Fil 1,11). Abbiamo già in noi la potenza liberatrice e unificante dello Spirito Santo con il suo frutto pronto a determinare la qualità delle nostre relazioni, non più al servizio del nostro egoismo, ma al servizio del regno del Padre.
Il «diadema di gloria dell'Eterno» è la nostra dignità di figli amati dal Padre, che ci rende tutti fratelli e sorelle in Cristo Gesù, morto e risorto. La vera gloria di Dio è l'uomo vivente, salvato e rispettato nella sua dignità, perché ogni essere umano è figlio di Dio.
Conversione significa disporre i nostri cuori a lasciare che lo Spirito Santo operi in noi.
Qual è l'invito alla conversione, che abbiamo ricevuto ascoltando il Vangelo, accogliendo in noi la testimonianza della missione profetica di Giovanni Battista? Egli fu mandato da Dio per preparare la venuta di Gesù, il Messia redentore. Ma noi già riconosciamo Gesù come Signore della nostra vita e nostro salvatore.
Cosa può insegnarci la testimonianza di Giovanni Battista?
A tutti gli evangelisti piace ricordare che Giovanni Battista citava il profeta Isaia 40,3-5: «Voce di uno che grida nel deserto: "Preparate la via del Signore, spianategli i sentieri. Ogni valle sarà radicata; ogni monte e colle sarà abbassato; i passaggi tortuosi saranno raddrizzati e le strade piene di buche appianate. E tutti vedranno la salvezza che viene da Dio"» (Lc 3,4-6).
Se abbiamo già in noi la potenza liberatrice e unificante dello Spirito Santo, che ci è stata donata gratuitamente da Cristo Risorto, per realizzare la nuova ed eterna alleanza tra noi e il Padre, per mezzo di Lui, la conversione è anzitutto prendersi cura del nostro cuore, cioè della nostra coscienza, della nostra mente che pensa, riflette e cerca la felicità. Le montagne e i sentieri tortuosi rappresentano le preoccupazioni della vita, i nostri desideri insoddisfatti che vogliamo appagare subito ad ogni costo; i nostri progetti di prosperità, di successo, di grandezza, che possiamo coltivare in noi stessi; il nostro attaccamento al denaro e alle nostre cose materiali, la nostra esagerata fiducia nella nostra libertà.
Conversione è operare pazientemente affinché il nostro cuore sia liberato da ogni attaccamento alle cose di questo mondo: denaro, persone che vogliamo possedere senza renderci conto che tutto è dono e nulla ci appartiene, conquiste che diventano la nostra sicurezza e garanzia di potere.
Conversione è fiducia nell'azione di Dio nella nostra vita e nella storia del nostro popolo.
Conversione è avere la fiducia di consegnare al Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, ogni tipo di perdita o lutto, ogni vestito di «lutto e afflizione», confidando che Egli può trasformare ogni esperienza di lutto in opportunità di una nuova tappa della vita con una crescita della comunione in Lui e della comunione che possiamo realizzare con gli altri e con tutto ciò che ci circonda.
Dio sa scrivere dritto sulle righe storte delle nostre complicate storie di relazioni difficili, di conflitti, delusioni e fallimenti. Anche il profeta Baruc parla dell'opera di raddrizzamento, ma quest'opera appartiene solo a Dio: «Perché Dio ha già ordinato di tagliare ogni alto colle, ogni monte antico, per colmare le profondità e spianare il suolo affinché Israele possa passare con certezza, sotto la gloria di Dio» (Br 5,7).
E così diventiamo strumenti di propagazione del regno di Dio nel mondo.
Lasciando agire in noi lo Spirito Santo, possiamo diventare segno luminoso di evangelizzazione nella realtà in cui viviamo, così come fu motivo di grande gioia la testimonianza di vita cristiana della comunità dei Filippi per l'apostolo Paolo. La testimonianza più bella che possiamo offrire al mondo è «la nostra comunione nell'annuncio del vangelo» (Fil 1,5): camminare insieme con la stessa gioia di essere testimoni viventi del Vangelo di Cristo. Questo non è possibile solo per merito nostro, ma per la nostra collaborazione nel far interagire la nostra buona volontà con la presenza viva dello Spirito Santo che già abita in noi. La testimonianza della «la nostra comunione nell'annuncio del vangelo» sia un processo di discernimento sempre aperto guidato da questo manto di giustizia che già ci riveste.