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TESTO Il cristiano si dà da fare

mons. Roberto Brunelli

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (14/11/2021)

Vangelo: Mc 13,24-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,24-32

24In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà,

la luna non darà più la sua luce,

25le stelle cadranno dal cielo

e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

28Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 29Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

30In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

All'avvicinarsi del nuovo millennio era circolata la previsione, basata sul calendario Maya, di un'imminente fine del mondo. Gli interpreti di quell'astruso testo non erano i primi, nella storia, a preannunciare la catastrofe finale: ad esempio, pare che un'ondata di panico abbia percorso l'Europa all'avvicinarsi dell'anno Mille; c'è chi dà retta a chissà quanto fondate interpretazioni degli scritti di Nostradamus; una setta tuttora presente aveva predetto la fine del mondo per il 1914, poi spostando varie volte la data, man mano che quella annunciata si rivelava fasulla. In verità, i cristiani lo sanno bene, le cose stanno diversamente: la fede basata sulla Bibbia parla spesso della fine del mondo, ma senza mai indicarne la data; anzi, nel vangelo di oggi (Marco 13,24-32) Gesù dichiara esplicitamente: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa".

Tentare di prevederlo, inquietandosi quando qualcuno lo preannuncia, è tempo perso. Invece di chiedersi quando finirà il mondo in generale, conviene pensare a quando il mondo finirà ‘per me', ossia quando finirà la mia presenza in questo mondo. Neppure questo fatto sappiamo quando accadrà; ma sappiamo ‘ché accadrà, e in tempi non lontanissimi: potrebbe essere oggi stesso, tra un anno, tra dieci, tra cinquanta... Al massimo, per il più longevo lettore di queste note, tra meno di cento. Accadrà. E allora, saggezza vuole che ci si prepari a quello, per essere attrezzati come si conviene.

A proposito del dopo, molti ci pensano con inquietudine, se non con paura. Ma neppure questo è un atteggiamento dettato dalla fede: la Bibbia ne parla in termini ben diversi, per chi cerca con sincerità di seguirne i dettami nella vita presente. Ne offre un bell'esempio il Salmo 15, che oggi si legge come responsoriale dopo la prima lettura: "Il Signore è mia parte di eredità e mio calice", cioè costituirà la mia ricchezza nella vita ventura e, come il vino che mette allegria, sarà la fonte della mia gioia; "Nelle tue mani è la mia vita. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra".

E' un futuro felice, quello prospettato dal salmo; ma ottenerlo non è automatico, cioè non è garantito a tutti, né dipende dagli umori di Dio, o dalle sue simpatie per qualcuno. Dio è buono, perché apre a tutti le porte della sua casa; ma è anche giusto, perché non costringe nessuno ad entrarvi: le porte sono aperte per chi nella vita presente ha dimostrato nei fatti di desiderarlo. Il cristiano costruisce oggi il suo futuro, e questo è lo stile e la ragione del suo impegno nel mondo. Pur sapendo di doverlo lasciare, il cristiano opera ogni giorno a migliorare il mondo, perché questa è la volontà di Dio, dal quale soltanto gli verrà il premio. La fede cristiana non è annullamento del desiderio (come vorrebbero altre religioni), evasione dalla realtà (come cerca chi si droga), oppio dei popoli (secondo un'espressione tanto celebre quanto falsa); non è passiva rinuncia o disimpegno, come qualcuno valuta gli antichi eremiti o i moderni monaci e monache di clausura: essi non si estraniano dal mondo; piuttosto, collaborano a migliorarlo in un modo che taluni non capiscono ma che nell'ottica della fede è invece assai prezioso. Il cristiano è chiamato a operare nella vita presente, non per privati interessi, non per egoismo, ma per concorrere a creare un mondo nuovo, pur nella fatica di un compito impegnativo, nell'amarezza delle incomprensioni, nel rammarico per gli insuccessi. Il cristiano si dà da fare, perché sa che il suo travaglio non è quello dell'agonia, ma quello fecondo, promettente, del parto.

 

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